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Il Sole 24 Ore

Inchiesta - Gli investimenti in proprietà. Terreni e fondi, i prezzi volano al top dal 1997. Le rivalutazioni continuano a battere l'inflazione Ma c'è chi teme lo scoppio di una nuova «bolla» ... Voglia di un buen retiro nella bucolica campagna toscana? Desiderio di un futuro da gestore di agriturismo umbro per fuggire lo stress e la frenesìa urbana? Se è questo il vostro sogno nel cassetto, forse è il caso di lasciarlo dove si trova. Con i prezzi dei terreni che volano sui massimi da quasi un decennio, comprare oggi un fondo agricolo potrebbe rivelarsi non esattamente l'investimento più azzeccato.Non che manchi l'offerta: la struttura fondiaria italiana da sempre è polverizzata in una maglia fittissima di imprese piccole e piccolissime, quasi ovunque a gestione familiare, specialmente nelle aree più redditizie del Centro-Nord. È vero che le imprese agricole diminuiscono sempre più: dal 1990 al 2000, secondo i censimenti, ne è sparito il 14,2% con un calo da 3,02 a 2,59 milioni. Ma nello stesso periodo la superficie agricola nazionale è calata del 13,6% da 22,7 a 19,6 milioni di ettari e quella utilizzata del 12,2%, da 15,1 a 13,2 milioni di ettari. Così, la media aziendale di superficie agricola utilizzata in dieci anni è aumentata solo del 2,4%, da 5,1 a 5,2 ettari. Certo, come mostra la tabella in alto, può trattarsi di un capitale immobilizzato molto, molto ragguardevole, se si tratta di vigneti nel Trentino settentrionale (fino a 500mila euro per ettaro), di serre floricole ad Albenga (anche 465mila euro per ettaro) o di vigneti a Caldaro (420mila euro/ha). Ma la media nazionale dei valori fondiari è ben più bassa, con una quotazione per ettaro di circa 15mila euro, e anche il trend di rivalutazione non è lo stesso: l'incremento di prezzo segnato nel 2003 sul 2002 è a due cifre per i terreni migliori, ma crolla al 3,3% su base nazionale.E sì che in passato i grandissimi affari non sono mancati. A fine aprile '97 Montedison cedeva per 96 miliardi (di lire) l'azienda di 3.823 ettari (e 1.800 mucche da latte) di Torviscosa (Udine) a una società guidata da Ennio Doris, amministratore delegato e azionista di Mediolanum, e Renato Andretta, grande proprietario immobiliare. La tenuta, in origine di 7mila ettari, nel '96 fatturava 15 miliardi di lire con un utile netto di 1,3 miliardi. Il 21 settembre 1998 la tenuta di Maccarese veniva ceduta da Iritecna al gruppo Benetton per 93 miliardi di lire. Dopo 15 anni di discussioni venivano privatizzati 3.200 ettari di terreno, sul litorale laziale una trentina di chilometri a nord di Roma, al prezzo medio di 29 milioni a ettaro, con tanto di vivai, stalle, casali e anche un castello. In seguito è stato tutto un infittirsi di grandi operazioni fondiarie, come spiegano gli articoli a fianco. Ma i tempi dei mega-accordi, quando i prezzi fondiari erano ai minimi, sembrano ormai irrimediabilmente finiti.
Secondo Andrea Povellato, ricercatore dell'Istituto nazionale di economia agraria, coautore delle indagini annuali sul mercato fondiario italiano pubblicate sull'Annuario dell'agricoltura italiana dell'Inea, «dal '97 i valori fondiari crescono a tassi superiori all'inflazione, anche se nel 2003, ultimo anno per cui sono disponibili i dati, la crescita dei prezzi è rallentata, pur restando positiva in termini reali. Nel 2003 l'aumento medio annuo su base nazionale è stato del 3,3% in termini nominali e dello 0,7% in termini reali. I prezzi con i rialzi maggiori sono quelli dei terreni coltivati con i prodotti a più elevato valore aggiunto, come i vigneti Doc, Igt e Docg, o situati nelle aree economicamente dinamiche, come il Nord-Est, o coinvolti nei grandi progetti infrastruttutali, o i "corridoi" per l'alta velocità ferroviaria e le autostrade. Ben diverso è il trend delle valutazioni su terreni dalle colture marginali o delle regioni meridionali», spiega Povellato. Lo dimostra la tabella della pagina a fianco. «C'è poi la domanda sempre più intensa da parte di operatori extragricoli, che seguono una logica di allocazione finanziaria diversificata. Le quotazioni dei terreni sono ormai elevate e non sempre legate al reddito del fondo: ciò frena gli acquisti di molti imprenditori agricoli, anche per la recente riforma dei meccanismi della Politica agricola comunitaria, la Pac, che attribuisce il pagamento dei contributi Ue non più ai proprietari ma ai conduttori dei terreni, il cosiddetto "disaccoppiamento"». I nuovi meccanismi comunitari segmenteranno ulteriormente il mercato fondiario, causando la distinzione netta di scambi e prezzi dei terreni dotati di diritto al premio Pac da quelli privi. Per Povellato «tutto ciò crea sul mercato una situazione di incertezza. Negli ultimi mesi il volume degli scambi è calato. Come i prezzi immobiliari, anche le quotazioni fondiarie non sono esenti dai ribassi». Basta guardare al grafico in alto: «Al forte rialzo degli anni 70, dopo gli shock petroliferi, seguì nella prima metà degli 80 un ribasso in termini nominali e deflazionati. Alla stabilità della seconda metà del decennio seguì una nuovo calo nella prima metà degli anni 90: il '96 non riuscì a tenere il passo dell'inflazione. Ormai la crescita dei prezzi fondiari dura da anni: effettuare previsioni sull'ulteriore tenuta del trend non è per nulla facile». Secondo molti operatori, così, è assai difficile che il boom fondiario possa continuare al ritmo recente. I pessimisti ritengono che nei prossimi mesi il mercato potrebbe sgonfiarsi, un po' per la normale rotazione delle asset class, un po' per il calo del valore dei raccolti dopo l'allargamento dell'Unione Europea a Est e l'aumento degli scambi globali, che porta alla flessione del reddito agricolo. E ci si comincia a chiedere apertamente a chi «resterà in mano il cerino».

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