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Il Sole 24 Ore

Annata nera per il vino, crollano gli investimenti. Nel rapporto dell'Ufficio studi di Mediobanca un calo del 27% nel 2004 ... Se non è una bolla che scoppia poco ci manca: nel 2004 gli investimenti tecnici delle aziende vinicole italiane sono crollati del 27%, passando da 235 a 171 milioni di euro. In pratica si è tornati indietro di cinque anni, ai livelli registrati nel 2000. A una manciata di giorni dalla grande kermesse veronese del VinItaly, dove tutti gli spazi sono stati prenotati da mesi, da Mediobanca arriva la doccia fredda dei numeri che produttori e venditori di vino avrebbero fatto a meno di sentire, anche se purtroppo sapevano da tempo già tutto. Nessun allarme, ma gli investimenti tecnici costituiscono una delle leve più delicate per valutare lo stato di salute di qualsiasi attività produttiva, perché danno la misura del grado di fiducia che l'imprenditore ha nell'attività che svolge. E nel settore del vino questo è il primo crollo dopo dieci anni di crescita ininterrotta. La gelata non arriva a ciel sereno, ma soprattutto non arriva da sola. Infatti, il primo elemento che la consueta indagine dell'Ufficio studi di Mediobanca sul settore vitivinicolo nazionale mette in evidenza non sono gli investimenti, ma i ricavi. E purtroppo la fotografia che viene fuori è assai nitida nella sua drammaticità, con il fatturato delle aziende che nel 2004 è rimasto al palo, dopo anni di tassi di crescita che due anni fa sfiorava il 10 per cento. L'analisi dell'istituto di Piazzetta Cuccia, che quest'anno ha lavorato su un campione di 71 imprese rappresentative del 34% del fatturato (2,8 miliardi su 9,1 miliardi di euro) e del 51% del valore esportato (1,8 su 2,7 miliardi), un avviso ai naviganti lo aveva già lanciato nel rapporto di un anno fa, quando osservava che il trend di crescita dei ricavi stava vistosamente sgonfiandosi (+ 5% nel 2003, quasi la metà del 2002). Evidentemente nulla si è potuto fare: la corsa dei prezzi da parte del sistema «horeca» (hotel ristoranti catering), da un lato, e la concorrenza internazionale, dall'altro, hanno di fatto messo nell'angolo molti produttori marginali, in particolare quanti hanno fatto negli anni passati investimenti strapagando aziende che ne valevano la metà.
Era quasi certo, d'altra parte, che dopo tre lustri di entusiasmo, prima o poi una sforbiciata sarebbe arrivata. Quello che probabilmente non ci si aspettava era la concomitanza del crollo degli investimenti, la limatura sui margini della gestione e lo stallo dei ricavi che, peraltro, hanno interessato in particolare le vendite nazionali (1,4%), a loro volta compensate dal lieve miglioramento (+ 2 , 2 % ) dell'export. A questo riguardo i flussi di vino all'export sono stati piuttosto divergenti a seconda dell'area di destinazione: è cresciuta di 2 punti l'Europa, che quindi assorbe il 54% del totale esportato; l'area delle Americhe, complice la rivalutazione dell'euro sul dollaro che ha reso meno competitivo il prodotto europeo, ha segnato il passo al 38%, mentre la novità è la crescita dell'Estremo oriente che pur incidendo solo con il 5% ha visto un incremento del 20 per cento. Per gli analisti di Mediobanca il crollo degli investimenti va visto alla luce di una serie di motivazioni: la prima sta nell'esaurimento dei benefici della legge Tremonti bis, che aveva dato un forte contributo a investire negli anni fino al 2002, appunto l'anno di maggiore espansione negli acquisti e dei vigneti e delle macchine e attrezzature. Altra considerazione è l'aumento di prezzo degli attivi immobilizzati nonché il ristagno delle vendite. Di qui il calo dei margini, già evidenti nel 2003, con il roi (ritorno sugli investimenti) sceso di 1,2 punti attestato all' 8,7% mentre il roe ( ritorno sul capitale) è diminuito dal 10,1% all' 8,9 per cento.
Oltre a tutto ciò, la performance delle società vinicole analizzate si è rivelata meno soddisfacente di quanto accaduto per le società industriali nel suo insieme, e ancora di più rispetto a quella delle aziende del settore bevande. E tuttavia la solidità del settore non viene messa in discussione, non fosse altro per il fatto che il patrimonio netto copre quasi la metà ( 48%) del capitale investito. Dunque un settore solido, dove gli imprenditori tagliano, sì, gli investimenti ma forse solo per rimandarli a momenti migliori. Ma è chiaro che non tutti, per fortuna, si comportano allo stesso modo.


Gli indici mondiali - Ma in Borsa il calice vince ancora ... Le difficoltà che caratterizzano il mercato del vino italiano non sono poi tanto peggio rispetto ad altri contesti internazionali. E tuttavia investire nelle aziende vinicole paga, forse molto più che investire altrove. La conferma arriva dalla performance dei titoli delle imprese vinicole quotate nelle Borse mondiali, il cui indice è stato approntato lo scorso autunno in esclusiva da Mediobanca. Secondo l'analisi, chi ha investito 100 nel 2001, oggi si ritrova in media con un capitale rivalutato di quasi il 60%, a fronte di una perdita complessiva delle Borse mondiali il cui indice è sceso da 100 a a 93,6.
Va da sè che non tutte le aziende (o gruppi quotati) e men che meno tutti i Paesi hanno registrato performance simili. La fortuna ha baciato le aziende canadesi e quelle statunitensi, con l'indice che ha sfiorato, rispettivamente, 269 e 259 punti. Poco più distanziale le aziende cilene, con l'indice 2005 salito a 188 punti. Pure in crescita, ma parecchio lontane dal vertice, Francia (126,6) e Spagna (127,6). La sorpresa arriva dall'Australia, il cui indice non è riuscito ad andare oltre i 120 punti. Cioè in crescita ma parecchio distante dai primi della classe. Evidentemente i produttori australiani pur di conquistare i mercati hanno lavorato davvero con i margini all'osso. E l'Italia? La risposta per ora resta inevasa, poichè aziende vinicole " pure" quotate nel più grande Paese produttore non ce ne sono ancora.

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