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Il Sole 24 Ore

E ora, spremuta di Pinocchio. Barrique con trucioli: vietata in Unione Europea ma non in altri Paesi ... Grazie barrique. Un benvenuto ai trucioli. Alla prima corre il mio pensiero per aver fatto passare alla cronaca ( correva l'anno 1984 su queste stesse colonne) la mia definizione di " vini dei falegnami" per i suoi maldestri utilizzatori, mentre ai trucioli ( sì, proprio gli scarti di legno) rivolgo un " welcome" di cuore, perché mi permettono di tirar fuori dal cassetto una nuova metafora: " spremute di Pinocchio" per definire i vini ottenuti grazie al loro inserimento nelle barrique.

Forse qualche lettore si stupirà di questa contaminazione trucioli vino e si chiederà: « Ma non è vietato? » . Non è così. Nei Paesi del nuovo mondo del vino ( Usa, Australia, Cile, Argentina, Nuova Zelanda e così via) l'uso è ammesso, così come un livello di zuccheraggio superiore.

E dove pure l'uso del concentratore è talmente diffuso che non è facile incrociare un produttore che non lo possegga.
Nell'Unione Europea invece la decisione è in stand by da tempo, ma è permessa la sperimentazione. Il vino ottenuto in Italia e negli altri Paesi dell'Ue, una volta terminata la fase di studio, dovrebbe venire indirizzato alla distillazione.
Sarà così? A me sembra invece che in circolazione ci siano tanti vini che forse hanno sbagliato indirizzo: sono finiti in bottiglia e poi distribuiti nelle enoteche, nei ristoranti e nei wine bar. Poco male.

Dai rumors che circolano, infatti, pare che il lasciapassare ai corpi estranei nel vino sia questione di tempo. I nostri signori delle regole sono vicini ad approvare le spremute di Pinocchio.
Che dire? In democrazia bisogna accettare coloro che reggono le umani sorti e progressive, ma si può gridare allo scandalo e pretendere che nelle etichette firmate da grafici, pittori, artisti venga così dichiarato: sono figlio di Geppetto, falegname in Collodi.

Anche se digerisco molto male le barrique e il concentratore devo riconoscere che questi sono strumenti di produzione, di cui non c'è bisogno di dichiarazione. Molti lo fanno comunque in etichetta: " elevato in barrique", si legge pomposamente per giustificare un prezzo maggiore. Ovviamente quando il vento spirava verso il vino barricato. Sempre più però ai tavoli dei ristoranti si sente mormorare: « Un rosso o un bianco che non sia... legnoso o in barrique » .

In realtà non ho la fobia di trucioli, barrique, concentratore, ma questo tris d'assi è complice nel fenomeno dell'omologazione del gusto. Certo non sono di meno colpevoli - anzi... - i vitigni " apolidi": il cabernet sauvignon, il merlot, lo chardonnay, il sauvignon e lo shiraz. Mi chiedo però se quel famoso " terroir" non avesse potuto giocare un ruolo di differenziazione anche in questi vitigni internazionali se non ci fosse stata la banda dei tre ( trucioli, concentratore, barrique).

Sono sempre questi tre a rappresentare l'accelerazione verso la globalizzazione del vino, sempre più destinato diventare una commodities.

« Il vino segue i mutamenti sociali - afferma Jonathan Nossiter, regista del film Mondovino -. Nel clima di libertà negli Usa degli anni 70, insieme alla vitalità del cinema che produceva di tutto, piccoli film indipendenti e Scorsese, c'era la varietà di gusti, in California nascevano piccole vigne dalle produzioni diverse. Con gli anni 80 di Reagan è finito il tempo della creatività nell'arte, nel cinema, nel vino. Che è diventato business e purtroppo nel mercato a imporre il gusto è il Paese dominante, cioè l'America, la quale attraverso le multinazionali Usa che incamerano vigne d'Europa impone il sapore edulcorato, tra mela e vaniglia, un po' infantile, indotto da decenni di Coca Cola » .

Un'analisi in parte vera, sull'imposizione del gusto, in parte però superficiale quella di Nossiter. Il Paese dominante assieme all'Australia non ha conquistato, se Dio vuole, le vigne d'Europa, anzi ha subito degli smacchi non indifferenti, come nell'area di Montpellier in Francia, dove un intero villaggio si è opposto all'acquisto da parte di Mondavi di un'azienda vinicola locale. Però ha messo in atto un piano di conquista del mondo del vino attraverso un'operazione mediatica straordinaria, basata su riviste ( « Wine Spectator » ) , un guru in grado di orientare milioni di consumatori ( Robert Parker), una produzione tecnologica basata sulla banda dei tre ( appunto), in grado di indirizzare i consumi. E di questo piano parte evidente è lo zuccheroso film di successo, nonché esempio di propaganda produttiva: Sideways.

La globalizzazione del gusto, nonché del vino, in atto può portare vantaggi solo a chi, in futuro, potrà spostare strumenti di produzione ( barrique, concentratori, trucioli) dove il terreno, la mano d'opera costano meno. Ormai, visto il continuo arrivo sul mercato di nuovi Paesi produttori, è dimostrato che, disponendo di vitigni apolidi, rossi e bianchi rotondi, morbidi, marmellatosi o fruttati si possono ottenere ovunque.

È comunque bizzarro che il progetto American wine non abbia partorito il numero uno, come quasi sempre succede in altri campi. Infatti il più straordinario successo vinicolo di marketing è targato Australia, firmato da una famiglia di origine siciliana ( Casella), la quale sfruttando alla perfezione il gusto dominante, imposto dal modello global, ha invaso il mercato Usa passando da zero bottiglie nel 2001 a 90 milioni nel 2004 ( previsione 2005: 150 milioni di bottiglie) con il marchio " Yellow Tale". E a quanto sembra il consumo corre anche in Italia, sebbene le bottiglie con la coda gialla siano appena arrivate negli scaffali. Sine qua non.

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