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Il Sole 24 Ore

Il vino conquista l’America… Stati Uniti superstar per il vino made in Italy, con l’export che continua ad accelerare con tassi a due cifre sia per il valore che per le quantità. E chi paventava quanto meno una pausa di riflessione dopo dodici mesi di crescita ininterrotta, dopo la breve parentesi di leadership australiana (appunto un anno fa) deve ricredersi. I risultati del monitoraggio firmato dall’Iwfi di New York sulle importazioni di vino in Usa non lasciano dubbi: l’Italia nei primi otto mesi di quest’anno ha esportato negli States 1,3 milioni di ettolitri, con un aumento del 10% sullo stesso periodo del 2004, per un valore di 630 milioni di dollari (525 milioni di euro) in crescita del 16,2%. Due risultati molto buoni, quando l’Australia, il concorrente più temuto, s’è fermato: -0,2% in valore a 473,8 milioni di dollari. Un segno che conforta doppiamente, poiché l’allungo italiano avviene in presenza di un prezzo medio (4,9 dollari per litro) superiore a quello degli australiani (3,8 dollari). Non è tutto. Lo stato di buona salute per il vino italiano va ben oltre le aspettative. Sulla base delle prenotazioni già acquisite dai nostri esportatori per i prossimi due mesi, si ha la netta consapevolezza che nel 2005 si possa conseguire un doppio record: superare la soglia psicologica del miliardo di dollari e i due milioni di ettolitri. Nessun Paese ha mai fatto meglio. Tanto basta per alimentare buoni propositi tra istituzioni e operatori di casa nostra che nel mercato statunitense credono sempre più. Questo spiega l’attivismo di istituzioni come la Fiera Verona che ha organizzato workshop in alcune delle principali città americane (Boston, Chicago, Los Angeles) per presentare l’edizione 2006 di Vinitaly. All’iniziativa ha aderito una cinquantina di aziende italiane che hanno colto l’opportunità per presentare i propri prodotti a importatori, distributori e stampa americani. Ma se per il direttore generale di VeronaFiere, Giovanni Mantovani, l’iniziativa rientra nel programma dell’ente di “fare di Vinitaly un sistema permanente di attività a favore del comparto vinicolo”, per gli operatori si tratta di un’opportunità che allarga la rete degli incontri con partner che diversamente e da soli sarebbe assai più difficile fare”. “La verità è che gli Usa – spiega Lorenzo Scian direttore commerciale della Feudi di San Gregorio – sono ormai un mercato appetibile per tutti. E quindi la competizione internazionale si sta facendo sempre più accesa. La nostra risposta deve essere allora improntata oltre che a una qualità indiscussa, a una presenza più estesa possibile sul mercato. Il che si può fare affidandosi a importatori ben radicati sul territorio”. Un discorso che Maurizio Ferri della casa vinicola Bolla si pone relativamente, ma solo perché la sua è un’azienda controllata da un gruppo statunitense. “Ciò non toglie che le problematiche vanno comunque affrontate con politiche di marketing e promozione incisive, e questo dipende dalla volontà delle imprese. Diversamente si finisce per lasciare l’iniziativa ai concorrenti”. Concorrenza che deve tenere conto anche del fattore cambio, nel senso che la rivalutazione dell’euro è un problema da affrontare scientificamente. Come fa Nicola Fabiano dell’omonima azienda vincila, che due anni fa ha affidata i propri vini a un nuovo distributore, la Stock Usa: la strategia è stata ripartire a metà la rivalutazione del cambio, mantenendo invariato il prezzo al consumatore americano. Che, per quanto ricco, resta comunque molto attento al fattore prezzo (arretrato del 28 ottobre 2005).


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