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Il Sole 24 Ore

Una sola voce per il vino... La "voce" è quella della Federazione dell’industria del vino (Federvini) e della Confederazione della Vite e del Vino (Unione Vini), le due massime organizzazioni di categoria che, separate dalla nascita (la prima aderente a Confindustria, la seconda a Confcommercio), hanno deciso di compattare le proprie forze mettendole al servizio del vino. A darne notizia sono stati ieri i due presidenti — Piero Mastroberardino per Federvini e Andrea Sartori per l’Unione Vini — che, dopo mesi di trattative condotte nel più assoluto riserbo, hanno firmato un accordo con il quale si dà vita a «una rappresentanza congiunta per superare unite le sfide che i nuovi scenari impongono al settore vitivinicolo». Accordo, cioè, che gli stessi protagonisti definiscono «strategico» e che arriva dopo un secolo di vita parallela e diversi tentativi di dialogo finiti sempre con un nulla di fatto. Ora però qualcosa di importante è accaduto nel panorama di questo settore che, in Italia, coinvolge alcune migliaia di aziende e sviluppa affari per nove miliardi di euro. Che salgono a più di 65 miliardi se si considerano gli asset patrimoniali di industrie e aziende agricole. Troppo perchè imprese che fanno le stesse cose e hanno gli stessi obiettivi potessero continuare a portare avanti progetti in modo slegati l’una dall’altra.
Non a caso i responsabili delle due organizzazioni parlano di «una sola voce» da fare sentire tanto a Roma quanto a Bruxelles. Il che sarà il frutto di quanto verrà di volta in volta deciso dal tavolo permanente che le due organizzazioni hanno deciso di dare vita al proprio interno e intorno al quale siederanno i consiglieri delegati dell’una e dell’altra federazione. L’obiettivo è quello di concordare una linea programmatica comune su quelle che sono le problematiche di settore da discutere sia con l’istituzione sia con altre controparti professionali portatrici di interessi diversi. Una decisione che ha dunque un forte impatto politico ed è destinata ad accrescere il peso negoziale istituzionale delle aziende rappresentate. A cominciare dalla riforma della legge quadro di settore, fino alle problematiche relative ai controlli sulle denominazioni d’origine. Che — osservano Sartori e Mastroberardino — ha senso discutere in un quadro di riforma ampia della legge 162 e non come questione fine a se stessa. Ma l’accordo va oltre e arriva a definire i ruoli che meglio si addicono all’una e all’altra organizzazione. Con Federvini che potrà mettere a frutto il proprio bagaglio di contatti e conoscenze accumulate sul terreno politico e istituzionale e con l’Unione Vini che accentuerà le proprie competenze in tema di certificazioni e analisi (una decina di laboratori in tutta la penisola), organizzazione gestionale e aziendale, programmazione fieristica (Simei), politica editoriale (è suo il «Corriere vinicolo» diretto da Marco Mancini).
Il primo effetto di questo accordo vedrà protagonista proprio l’Unione Vini che oggi si presenta come Confederazione di tre componenti (agricoltura, commercio e industria) e che domani dovrebbe disporre di un’organizzazione più snella comprendente un raggruppamento agricolo e uno industriale, e con la componente commerciale che confluirebbe nella rappresentanza delle imprese industriali. Un processo che certo dovrebbe facilitare il conseguimento degli obiettivi di maggiore integrazione tra le due federazioni. A beneficio del vino italiano.

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