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Il Sole 24 Ore

La rivincita del vino italiano. Dal 1986 lo scandalo del metanolo. Oggi il settore ha cambiato pelle ... Quando il Tanaro si colorò di rosso, vent’anni fa, l’Italia del vino era molto diversa da quella di oggi. Allora la cantina di Vincenzo Odore di Incisa Scapaccino, nell’Astigiano, poteva imbottigliare a piacimento prodotto proveniente dal "laboratorio" di Giovanni e Daniele Ciravegna di Narzole, senza essere afflitto dall’obbligo di fotografare e depositare i relativi documenti. Per cui anche se malauguratamente per loro fossero arrivati gli ispettori della Repressione frode, i protagonisti del misfatto avrebbero avuto molte chance di farla franca, mostrando documenti falsi opportunamente resi vergini.

Vent’anni fa l’Italia scoprì per la prima volta nella sua storia millenaria il vino al metanolo. Che i Ciravegna, i Fusco, i Baroncini e diversi altri ancora fabbricavano con il bastone. Un "vino", cioè, fatto con miscele di liquidi e alcol metilico sintetico inodore usato per lacche e vernici, per questo non soggetto a particolari controlli sanitari, che i cinici sofisticatori avviano invece alla distillazione. Allora ben remunerata da Bruxelles.

Non paghi di ciò, gli autori di quell’intruglio pensarono pure di poterlo deviare all’imbottigliamento affidato ai vari Odore e, da questi, girato al mercato a prezzi stracciati. In tutto furono una sessantina le aziende coinvolte, secondo le indagini coordinate dalla Procura di Milano. Che in capo a cinque settimane fece piena luce sullo scandalo dai risvolti tragici per la vita umana (22 i morti accertati), accompagnato da gravi danni materiali e d’immagine per un settore che da alcuni anni aveva cominciato a dare segni di grande vitalità. Solo l’anno prima, infatti, l’export vinicolo italiano era cresciuto del 17% in quantità (16,8 milioni di ettolitri) e del 20% in valore (1.545 miliardi di lire). Il che aveva messo già in apprensione i francesi.

Quel giorno di metà febbraio per il vino italiano ebbe inizio il momento più buio della storia, con i Paesi d’Europa e d’Oltreoceano che non attesero più di tanto nell’introdurre filtri all’import, determinando un allungamento dei controlli e un forte rallentamento delle spedizioni italiane. Inevitabile il crollo delle esportazioni: il 1986 si chiuse con con una contrazione del 37% degli ettolitri (10,5 milioni) e la perdita di un quarto del valore incassato l’anno prima. Per gli 800mila vignaioli e le 11mila imprese vinicole non poteva andare peggio. E per di più all’orizzonte si affacciavano già le sagome di nuovi Paesi produttori intenzionati a farsi spazio sui mercati internazionali.

La rabbia era palpabile a tutti i livelli. Produttori, burocrati e politici si trovarono nel pieno di un valzer apparentemente senza capo né coda; in realtà come si è poi visto, dopo l’iniziale e comprensibile smarrimento, per il vino made in Italy è stato l’inizio di un processo di riscossa collettivo che dura tuttora e che ha coinvolto un po’ tutte le figure della professione, ma anche accresciuto la responsabilizzazione dell’amministrazione pubblica. E non v’è dubbio che, pur tra mille incertezze, anche la classe politica ha fatto la sua parte, adottando interventi legislativi che seppure in parte hanno corretto storture legislative superate dai fatti e avviato un sistema di controlli più efficaci.

Così, se la decisione immediata di adottare la certificazione delle analisi sui prodotti permise di rompere dopo qualche mese il cordone di blocco che si era creato sui mercati internazionali, il passaggio successivo è stato quello di codificare un nuovo sistema di registrazione del processo produttivo e controlli che partono dall’uva e finiscono alla bottiglia sullo scaffale. Di pari passo quello che era "tout court" il servizio Repressioni frodi, è diventato l’Ispettorato anche alla prevenzione. Di più ha fatto la riforma della vecchia 930 sulle Doc, diventata 164 e al cui interno ha preso forma la famosa piramide che enuclea l’intero sistema vinicolo nazionale fatto di vini da tavola alla base per arrivare all’eccellenza delle Docg.

Ancora di più ha fatto l’idea di imbastire una politica promozionale di Paese che portò alla nascita dell’Ente vini e alla creazione di un fondo di 50 miliardi per la pubblicità da condividere con l’Ice. Un’idea forzata ma comunque rivoluzionaria per quei tempi in cui persino le aziende private erano restie ad aprirsi al marketing e pianificare campagne promozionali che andassero oltre la semplice reclame. Che oltre tutto solo poche etichette praticavano in modo sistematico.

Vent’anni possono sembrare tanti oppure pochi: dipende da cosa e come si guarda. Nel caso del vino sono certamente tanti sotto il profilo normativo, come lascia ben intendere l’approvazione nei giorni scorsi della "legge quadro" Collavini-Preda che introduce un nuovo sistema sanzionatorio. Ma sono pochi se si guarda al successo che, dopo il "fattaccio" del metanolo, ha arriso al vino italiano nel mondo.

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