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Il Sole 24 Ore

Rapporto Mediobanca - Nel 2005 in crescita domanda interna, export (+1,4%) e investimewnti (+2,7%). Vino, un boom di 4.550 etichette. In 5 anni lanciati sul mercato 1.300 nuovi prodotti.Per il brindisi è meglio attendere tempi migliori. Ma nell'Italia del vino ormai sono diversi i fattori che inducono a credere che il peggio è passato. Non solo per via del miglioramento degli indici economici, ma anche per la maggiore apertura delle imprese ad andare sul mercato con una gamma di referenze più articolata. Segmentando l'offerta con nuove etichette (1.300 in cinque anni, portando il totale a sfiorare le 4.550 unità) e una predisposizione a produrre vini di maggiore qualità e pregio.

Cautela, dunque. Ma anche fiducia nella ripresa. E questo, perché l'Italia enologica da un lato non si è ancora del tutto ripresa dagli stravolgimenti da montagne russe, che per una manciata d'anni hanno tenuto il settore con il fiato sospeso e, dall'altro, perché nel 2005 gli operatori sono tornati ad avere fiducia. Un sentimento sostenuto da un ritmo di marcia più tonico che nel 2005 ha interessato tanto la dinamica commerciale interna (+1,2%), quanto i flussi all'export (+1,4%) e, ancora di più, gli investimenti. Che nel 2005 hanno messo a segno un discreto +2,7%, dopo il tonfo incredibile del 20% dell'anno prima. E, fatto che non guasta affatto, con tutto il resto che viene accompagnato da proiezioni incoraggianti per il futuro a medio termine.

A dipingere questo nuovo corso è l'annuale "rapporto vino" di Mediobanca che, sulla base di interviste e dati forniti da un campione molto ampio di imprese (82, rappresentative del 31% del valore totale della produzione italiana pari a 10,7 miliardi di euro), fa il punto sul settore tanto a livello Paese, quanto - e questa è una novità - a livello internazionale. In più c'è l'indice borsistico dei primi dieci gruppi vinicoli quotati nel mondo, che la stessa Mediobanca ha realizzato un anno fa.

Per quanto riguarda l'Italia, il fatto importante è che i primi a credere nella svolta sono proprio gli imprenditori. Il "sentiment" che emerge dal rapporto, che come di consueto viene presentato alla vigilia del VinItaly di Verona (6-10 aprile), è che quasi l'unanimità degli addetti ai lavori ritiene che il 2006 sarà un anno decisivo per la propria attività, i cui fatturati sono attesi in crescita: solo un intervistato ogni 34 ritiene infatti che le proprie vendite subiranno un calo; due anni fa il rapporto era di uno ogni sei.

Dunque a crederci è la maggioranza. Che oltretutto è dell'avviso che anche gli investimenti seguiranno la stessa curva. E non importa se il recupero avvenuto nel 2005, e quello atteso nel 2006, difficilmente riusciranno a compensare le perdite accumulate tra il 2003 e il 2004, vale a dire gli anni difficili della viticoltura made in Italy. Ma mentre la piallatura del 2003 (si veda tabella in pagina) andava imputata alla cessazione dei benefici scaturiti precedentemente con l'applicazione della legge Tremonti bis, il flop del -20% del 2004 è addebitabile prevalentemente se non addirittura esclusivamente all'involuzione accusata degli indici di mercato. Ebbene, quelle preoccupazioni sembrano essere passate, poiché le imprese non solo hanno ripreso a investire in nuove tecnologie e miglioramenti gestionali e della rete commerciale nonché di ampliamento della struttura esistente (208 milioni di euro nel 2005, con l'ulteriore crescita attesta quest'anno), ma hanno dato fiducia alle politiche di marketing e comunicazione (9% le spese per la pubblicità). Le difficoltà di questi anni hanno comunque lasciato il segno.

La nuova predisposizione all'investimento, infatti, non è accompagnata, almeno per il momento, da un uguale sentimento verso nuove acquisizioni. Al punto che del totale operazioni avvenute in Italia negli ultimi dieci anni, una buona metà sono state fatte tra il '96 e il 2002 e l'altra metà nei due anni successivi. Intanto l'americana Constellation ha comprato Mondavi, consolidando la propria leadership mondiale a 3,5 miliardi di euro di fatturato e il numero due, l'australiana Foster, ha fatto la sua parte rilevando Southcorp.

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