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Il Sole 24 Ore

Fruttata e tinta? Tintilia. Un vino rosso del Molise, importato nel Settecento dalla Spagna ... Confesso di essere stato attratto, in prima battuta, dal nome “Tintilia“, poi la sua conoscenza biblico-sensoriale, mi ha fatto ringraziare ancora una volta la curiosità. Si tratta del nome di un vino rosso, prodotto in Molise, ottenuto da un vitigno autoctono la cui origine ha fatto discutere.
C’è infatti chi afferma sia il sinonimo di Bovale grande, un vitigno coltivato in Sardegna, chi invece sostiene sia un vitigno introdotto nella seconda metà del settecento, in piena denominazione borbonica, attraverso i commerci tra il regno di Napoli e la Spagna, da cui deriva il nome, presumibilmente dall’etimo “tinto“, cioè rosso. Da recenti studi condotti dall’ Università del Molise sul germoplasma questa seconda ipotesi sembra quella più attendibile.
Questa regione mignon si è ormai affermata nel pianeta vino con un produttore davvero eccellente Di Majo Norante, che ha scommesso nelle potenzialità del territorio quando nessuno forse credeva nei risultati oggi raggiunti. Il suo Molise rosso Don Luigi, l’Aglianico Contado, il Biferno Rosso Ramitello (vino assai longevo, come ho potuto constatare da vecchie annate) sono vini di grande eccellenza, mi piace anche segnalare “Apianae“, un moscato fresco dal profumo di fiori d’arancio. La Tintilia potrebbe essere per questa piccola regione ciò che è stato il Nero d’Avola per la Sicilia, il negroamaro per la Puglia, un vitigno guida da valorizzare al meglio. Infatti già sono diversi i viticoltori di questo vino rosso rubino intenso, con riflessi violacei, sempre morbido, asciutto.
Così, attratto dal nome, ho assaggiato la Tintilia annata 2004 di 3 produttori: azienda agricola Angelo D’Uva (Contrada Ricuso 13, Larino), Feudo San Felice (Contrada Montagna, San Felice) della famiglia Cipressi e Iac-Catabbo (Contrada Petreira di San Martino in Pensilis). Diverse modi di interpretare uno stesso vitigno, di contro il comune denominatore è costituito da un rosso eccellente, non difficile, di grande bevibilità, fresco, soprattutto fruttato. Nella Tintilia di D’Uva e Catabbo è molto pronunciato il sapore della mora,dell’amarena, di frutta rossa surmatura, mentre in quella del Feudo di San Felice risulta una buona maturazione dei tannini. Queste cantine, sono presenti anche con altri vini, Catabbo con la Falanghina e il Molise rosso, D’ Uva con il trebbiano, il Feudo di San Felice con un interessante Molise rosso Rumen 2003 (ottenuto da uve Montepulciano ). Vorrei citare anche la Fattoria di Vaira che non produce Tintilia, ma Molise rosso in diverse versioni, soprattutto per gli obiettivi di recupero sociale che si pone la fondazione proprietaria dell’azienda diretta dall’appassionato Pasquale di Lena.
La Tintilia è indubbiamente un vino da carni, ma ritengo non sia giusto indicare solo abbinamenti “aritmetici“, scontati. Può essere un vino da sperimentare pure con accostamenti sacrileghi, considerata la morbidezza dei tannini; con una temperatura di servizio intorno ai 14° potrebbe accompagnare pure pesci grassi o cucinati con intingoli a base di pomodoro. Un altro vitigno autoctono dunque che si affaccia sul mercato con grandi speranze di trovare un posto al sole, nelle enoteche, nei ristoranti, nelle tavole di casa, così come il Nero di Troia pugliese. Purtroppo non avrà vita facile. Oggi la notorietà del vitigno o dell’azienda sono il biglietto da visita che viene richiesto da osti, trattori, buyers e consumatori.
Forse la Tintilia può disporre di un vantaggio: è un vino moderno con una lunga storia, senza far ricorso alle pratiche più spinte degli anni duemila. Il prezzo giocherà un ruolo importante: speriamo che i risultati positivi non siano immediatamente ricaricati sulle bottiglie, così come è riscontrabile negli ultimi anni per i vini autoctoni emergenti o nelle aree di successo. (arretrato de Il Sole 24 Ore del 28 maggio 2006)

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