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Il Sole 24 Ore

L’Italia ha “adottato” 60 prodotti rari stranieri ... Esteso ai Paesi in via di sviluppo il modello dei presìdi alimentari... Un’operazione riuscita, quella dei 200 presidi italiani di Slow food, che è stata in grado di valorizzare - quando ha innescato tra i produttori il necessario gioco di squadra – prodotti autoctoni a rischio estinzione e di grande valore gastronomico. Ora questa missione è a una svolta: i confini nazionali ed europei (i presidi Ue sono circa 30) sono diventati stretti e la nuova frontiera è nei Paesi in via di sviluppo, dove sono stati già attivati 60 progetti. Dalle prime iniziative pilota nel 2002, sulla razza piemontese alimentata “come una volta” e il fagiolo zolfino toscano, la battaglia pacifica di Slow food ha incassato vittorie esaltanti ma anche qualche insuccesso. “Perché funzioni davvero - avverte il presidente della fondazione Slow food per la biodiversità, Piero Sardo - occorre che i produttori ci credano. Non basta appuntarsi la medaglia del presidio, occorre mettere insieme le forze e proporsi al mercato con un marchio unico. In Calabria, ad esempio, nel caso del pecorino di Monte Poro, non ci siamo riusciti ed è prevalso l’individualismo. In compenso, in Toscana e nelle regioni dove c’è una tradizione cooperativistica i risultati sono stati ottimi”. La “natura” del presidio è locale e l’obiettivo dell’associazione è sempre quello di avviare e rafforzare delle fìliere chiuse.
Ma su alcuni prodotti, come la carne suina, è stata concessa qualche deroga. “Ci siamo resi conto - continua Sardo - che non sempre era possibile avere una filiera interamente locale. Il caso più famoso è quello del lardo di Colonnata dove la materia prima autoctona non basta e occorre rifornirsi all’esterno”. Scopo di Slow food è che i prodotti, una volta “salvati”, camminino con le proprie gambe. Ma per non uscire dalle logiche dello sviluppo locale la crescita di queste filiere deve avere un limite.
“L’industria in molti casi ha fiutato l’aria - sottolinea Sardo - effettuando investimenti che hanno portato forti accelerazioni che, pur nel rispetto delle tradizioni locali, hanno snaturato la logica dei presìdi. Un po’ come è successo in Toscana e come sta accadendo in Sicilia per il vino. L’obiettivo dell’associazione è invece un altro e richiede magari meno investimenti ma un processo di crescita ‘dal basso’”...

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