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Il Sole 24 Ore

L’India ha scoperto il vino. Primi test per il made in Italy ... Si apre la competizione. Sull’export pesano i dazi e le tasse all’ingresso. La prossima settimana i viticoltori si presentano a New Delhi e Mumbay... L’india, dopo la Cina. L’Italia del vino, alla continua ricerca di nuovi consumatori, allarga l’orizzonte delle proprie esportazioni guardando ancora a Oriente. E anche se questo mercato, ancora più di altri, presenta tutt’altro che facile da interpretare e conquistare, non ci si può nemmeno permettere di lasciare che siano i concorrenti ad arrivare per primi.
Il rischio infatti è di trovarsi poi a rincorrere i concorrenti. Che in India, come altrove, hanno i soliti nomi noti (francesi, americani, australiani) che, nonostante la bassissima diffusione del vino nel costume alimentare locale, non hanno rinunciato a esserci. Soprattutto da quando nel 2001 New Delhi ha deciso aprire all’import vinicolo, imponendo però dazi doganali proibitivi che arrivano anche al 250% del valore del prodotto.
Ma questo non ha impedito che la domanda di vino in soli cinque anni sia passata da zero a 650mila casse pari a 7,8 milioni di bottiglie, di cui 155mila con le etichette made in Italy per un valore che sfiora appena il milione di euro. Troppo poco rispetto a quelli che sono i consumi complessivi di bevande alcoliche che superano 75 milioni di casse da nove litri per 3,5 miliardi di euro, con la birra e i superalcolici che la fanno da padrone. Ma mentre la domanda di questi prodotti è stabile, quella del vino negli ultimi anni ha registrato tassi di crescita a due cifre.
«Fosse per i numeri assoluti dovremmo restare a casa. Per fortuna non è così. Penso infatti che sia assolutamente importante conoscere il mercato indiano. Ed è quanto ci siamo prefissi di fare. Lo abbiamo fatto dieci anni fa con la Cina e oggi lo facciamo con l’India», commenta il direttore di Verona Fiere, Giovanni Mantovani, in partenza con 50 vignaioli italiani per New Delhi e Mumbay, dove la settimana prossima si terrà la seconda edizione di Vinitaly-India.
«Certo che vale la pena andare in India. A parte i valori, ritengo che questo sia il momento migliore per seminare e partecipare a questi eventi è fondamentale. Come azienda sono tre anni che veniamo qui, abbiamo messo le prime basi. I risultati verranno e non deluderanno», risponde il presidente di Federvini Piero Mastroberardino dell’omonima vinicola campana. Che con il presidente dell’Unione italiana vini, Andrea Sartori, concorda sulla messa a punto di un messaggio da parte delle istituzioni che metta in evidenza i valori culturali della tavola made in Italy. Sartori osserva come «la cucina indiana si presti più di quella cinese al consumo del vino. Per questo sarebbe un grave errore non investire».
«Sono curioso di conoscere questo mercato. Mi dicono che i dazi all’import sono proibitivi - risponde Antonio Motteran dg della Carpené Malvolti -, ma perché chiudere la porta a un Paese che solo ora si sta aprendo al futuro? Io vado a vedere». Chi c’è già stato, come Pio Boffa della Pio Cesare di Alba, firma ben ramificata nei ristoranti dei grandi alberghi un po’ in tutto l’Estremo Oriente, è soddisfatto. E anche Michele Bernetti della Umani Ronchi, presente solo da un anno in India, ha parole di incoraggiamento.
«Certo - dice -, ci sono i dazi e le tasse d’ingresso che peraltro variano da Stato a Stato, ma tutti gli investimenti costano. Rimandarli, pensando a un tempo migliore, potrebbe essere fatale».

I consumi a New Delhi (milioni di casse da 9 litri)...
Birra - 39
Whisky - 21
Rum - 7
Brandy - 5
Altri superalcolici - 2
Vino - 0,65

Trend vinicolo (totale casse)...
2000 - 320.000
2001 - 345.000, + 8%
2002 - 380.000, +10%
2003 - 430.000, +13%
2004 - 500.000, +16%
2005 - 650.000, +30%

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