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Il Sole 24 Ore

Il Chianti classico nel club mondiale per tutelare il Doc ... Vino. Intesa siglata a Washington... Parte dagli Stati Uniti la battaglia in favore del territorio d’origine e contro il prevalere della politica del marchio nel vino. Il Consorzio del Chianti Classico, unico rappresentante dei produttori italiani, insieme alle regioni vitivinicole americane di Sonoma County e Paso Robles, all’ungherese Tokaj e alle australiane Victoria e Western Australia, firma oggi a Washington l’adesione al patto per la tutela e la valorizzazione dei luoghi di origine del vino costituito da sette membri fondatori di questa inedita coalizione: Napa Valley, Oregon, Washington State, Walla Walla Valley, Champagne, Porto e Jerez.
Lo scontro che si profila non è trascurabile: da una parte la concezione europea che impone una perfetta coincidenza tra quello che è scritto sull’etichetta e il contenuto della bottiglia (un Barolo o un Brunello devono essere prodotti da uve coltivate nei territori di pertinenza); dall’altra la cosiddetta “politica del marchio”, che attribuisce al solo brand tutela e garanzia di qualità, una pratica consentita dalle normative in Paesi come gli Stati Uniti, dove infatti si produce e si vende “finto” vino Chianti (oltre 40mila quintali all’anno), piuttosto che Champagne o Porto. “Mentre a livello europeo l’ago della bilancia si sta spostando sempre più verso una politica di valorizzazione dei marchi di fabbrica a discapito delle denominazioni di origine, proprio dagli Stati Uniti, che fino a ieri hanno creduto nella politica di marca e nella globalizzazione del mercato, parte oggi un segnale forte per la tutela dei luoghi di produzione del vino”, dice Marco Pallanti, presidente del Consorzio Chianti Classico, 600 imprese, 7mila ettari di vigneto specializzato, 550 milioni di fatturato complessivo per il 60% realizzato sui mercati internazionali. L’obiettivo dei promotori dell’iniziativa è quello di sensibilizzare i consumatori e i legislatori di tutto il mondo sui rischi di un sistema che consente a chiunque di “copiare” un vino usandone addirittura il nome geografico.
“Vogliamo scongiurare il pericolo di vedere sul mercato un Chianti fatto in Cina”, aggiunge Pallanti, in linea cn le preoccupazioni dei maggiori viticoltori americani (e non solo), ormai insidiati su questo terreno dall’aggressività dei Paesi emergenti. “Torniamo a pensare al vino come a un prodotto dell’agricoltura”, dice il presidente del Consorzio Chianti Classico Che aggiunge: “Malgrado la forte concorrenza sul mercato mondiale, siamo tutti d’accordo che il territorio di produzione è l’ingrediente più importante per creare vini veramente unici e autentici”. Europei, americani e australiani coalizzanti in nome della qualità e della valorizzazione dei territori a vocazione vitivinicola per non soccombere alla semplice logica industriale.

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