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Il Sole 24 Ore

“L’export premia chi ha innovato” ... Vi sono mercati, per esempio gli Stati Uniti d’America, pronti ad accogliere le peculiarità e le diversità territoriali espresse dai vini made in Italy. Ve ne sono altri, come Cina e India, che sono pervasi da un approccio misto di curiosità per le particolarità gastronomiche, paesaggistiche, culturali ed artistiche che il vino veicola creando suggestioni impareggiabili. Il direttore generale di VeronaFiere Giovanni Mantovani, 49 anni, due figli e una carriera percorsa quasi interamente nell’ente fieristico veronese, sa che il Salone Vinitaly è un catalizzatore di attenzioni provenienti da ogni dove. Il che gli permette di avere una conoscenza diretta e di prima mano delle cose che accadono di qua e di là delle Alpi.
Mantovani, come interpreta il fatto che l’export di vino made in Italy tiri come non mai, mentre il mercato domestico è decisamente più guardingo?
In via generale vedo un riequilibrio nel rapporto qualità- prezzo dei vini; ritengo che oggi più di ieri venga maggiormente premiata la professionalità a scapito dell’effetto “moda” che aveva attirato molti non addetti ai lavori ad investire in un settore che non ammette errori. Si può essere ottimi imprenditori o professionisti in altri campi ma non per questo si può avere automaticamente un’impresa vinicola di successo. Tutto nasce dall’agricoltura e dal rapporto quotidiano con la terra. Poi, capacità dell’enologo, marketing, comunicazione sicuramente aiutano.
D’accordo, però i mercati esteri sembrano avere una marcia in più. E proprio così?
C’è molta vivacità sui mercati internazionali e la competizione globale premia chi ha saputo innovare e reinventarsi. I cicli economici oggi sono molto più accorciati: tra ripresa e crisi il passo è breve, e, nei momenti di maggior stasi, occorre investire e innovare continuamente prodotti e servizi.
E allora, se è una questione di concorrenza, lei ritiene ci siano spazi per l’Italia vinicola per crescere ancora?
Sì. Il modello dell’impresa vinicola italiana, anche se estremamente polverizzato e quindi apparentemente più fragile, a mio parere ha ancora positivi margini di crescita. Stiamo assistendo alla necessaria spinta aggregativa che porta le aziende, le cantine sociali, le cooperative a creare fusioni e accordi di partnership per aumentare le capacità di penetrazione sui mercati e diversificare i canali di vendita, in Italia e all’estero. D’altro canto, assistiamo all’apprezzamento sempre più elevato che il modello della zonazione e della territorialità espresse nel vino italiano stanno ottenendo da parte dei consumatori di tutto il mondo. Per contro, si comincia a registrare la crisi di alcuni modelli esteri come quello australiano, un tempo additati come vincenti in assoluto, sia per quanto riguarda il sistema produttivo e delle denominazioni, sia per quanto concerne quello distributivo.
A proposito di fiere, si assiste a un proliferare di nuove manifestazioni. Ritiene ci siano dei margini per tutti?
Di certo la concorrenza non la sottovalutiamo. E se intende chiedermi se VeronaFiere è sotto attacco, rispondo di no. Piuttosto, siamo consapevoli di avere una rassegna leader mondiale che deve essere in grado di dare ad ogni edizione, e lo facciamo da più di quarant’anni, risposte concrete al business delle imprese. Vinitaly è l’unica manifestazione al mondo che può vantare trend di crescita degli spazi (+5% in media ogni edizione), un elevato numero di contatti per espositore (30 contro 11-15 dei competitori) e un grado di soddisfazione degli espositori del 95% del totale. Tutto questo dice che Vinitaly rappresenta un vero e proprio sistema integrato di promozione al servizio non solo del dell’enologia nazionale, ma del Sistema Paese.

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