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Il Sole 24 Ore

Vino, arriva il tappo che respira ... Enologia. Danneggiate da alterazioni del sughero fino a 500 milioni di bottiglie... Stappare una bottiglia divino è per i cultori di Bacco un rito che va vissuto con partecipazione e rispettoso silenzio. Ma non è necessario essere esperti per restare delusi quando ci si imbatte in vino che “sa di tappo”. A provocare la spiacevole anomalia è il Tricloroanisolo (Tca), una molecola presente nel sughero che a contatto con il vino ne danneggia il sapone.
Stime su scala mondiale calcolano tra il due e il tre per cento le bottiglie di vino che ogni anno vanno in fumo per colpa del Tca. Come dire da 300 a oo milioni di campioni andati a male su un totale di 16 miliardi di bottiglie, di cui tre miliardi firmate dall’Italia. Miliardi di bottiglie che vogliono dire altrettanti tappi per un giro d’affari di almeno 6 miliardi di euro. Di cui un miliardo per l’Italia.
Non è solo il micidiale batterio a lavorare contro l’uso del tappo di sughero, la cui produzione è per il 90% pari a 2,2 milioni di ettari concentrata nella penisola iberica e nel Nord Africa in Italia sono 100mila gli ettari in produzione, prevalentemente in Sardegna.
In realtà l’incognita maggiore è alimentata dalle modificazioni ambientali che mettono a repentaglio lo sviluppo vegetale dei querceti, dalla cui corteccia deriva il sughero. Di qui il supporto della ricerca che, a partire dall’inizio degli anni o, ha messo a disposizione dell’impresa vinicola tappi ricavati da polimeri. L’uso dei prodotti alternativi non ha però avuto finora vita facile, soprattutto in paesi di antica tradizione e cultura enologica come l’Italia, dove la stessa legge sulle denominazioni di origine esclude l’utilizzo di tappi siliconati. Sulla questione però non tutti la pensano allo stesso modo. Giulio Bava, vignaiolo di gran nome del Monferrato, dice: “Il tappo di sughero nonostante tutto è quello che dà maggiori garanzie e dura nel tempo. Non siamo contro l’innovazione, ma se la clientela è soddisfatta non vi è ragione per cambiare”.
Chi invece non si è posto riserve è Marco Caprai. “Bisogna evitare di restare succubi delle paure: il tappo di silicone - dice - è ormai una realtà. Nella mia azienda li uso per i vini Igt che si collocano nella fascia tra 5 e 7 euro. E questioni ha permesso di eliminare molti inconvenienti dovuti, appunto, dal vino che sa di tappo”. Approccio decisamente favorevole ai polimeri sono i vignaioli d’oltreoceano e dell’emisfero australe, al punto che su 1,2 miliardi di tappi alternativi oggi prodotti nel mondo, l’80% finisce nel collo di bottiglie di questi nuovi paesi vignaioli.
Ma per il futuro le cose sono destinate a cambiare anche in Europa, grazie alla ricerca tecnologica che nel frattempo ha fatto passi da gigante. Sono nati così nuovi prodotti con caratteristiche sempre simili al tappo di sughero. Come, per esempio, “il tappo che fa respirare il vino”, presentato al recente Vinitaly di Verona da Nomacorc, il gruppo che con 860 milioni di tappi sintetici prodotti è leader di mercato nel mondo. “Non si tratta del solito tappo di silicone, ma di qualcosa di molto diverso e funzionale. Non li usiamo per il Chianti classico, in quanto la normativa non lo prevede, ma per le altre offerte non c’è ragione per non farlo”, dichiara l’enologo Federico Cerelli di Castello di di Meleto, antica azienda viti Vinicola di Gaiole, in Toscana.
E l’innovazione tecnologica è alla base anche del “tappo con buco” realizzato dalla Korked di Padova che Francesco Liantonio, dell’azienda pugliese Torrevento, ha adottato per alcune linee di prodotti imbottigliati nelle antiche cantine di Castel del Monte.
“Il tappo col buco - dice l’ad di Korked, Salvatore Vignola - è frutto di tecnologia made in Italy e consiste in un vero e proprio foro che taglia longitudinalmente il tappo. Al suo interno sono inserite delle membrane permeabili ai gas e consentono la micro-ossigenazione del vino”. Come a dire che si tratta di un tappo che aiuta il vino ad affermarsi in bottiglia, mantenendo le qualità intrinseche per parecchio tempo.

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