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Il Sole 24 Ore

È di qualità il 44,3% del Pil italiano ... Nasce il Piq, l’indicatore che misura l’innovazione nella ricchezza del Paese. Competitività. La Fondazione Symbola ha scomposto il Prodotto interno lordo in cinque variabili indipendenti… Il sasso nello stagno lo aveva lanciato Bob Kennedy durante un discorso all’università del Kansas il 18 marzo1968: “Il Prodotto interno lordo misura tutto eccetto ciò che rende meritevole la vita di essere vissuta, e può dirci tutto sull’America, eccetto se siamo orgogliosi dl essere americani”. Più recentemente un’espressione del disagio verso un’economia il cui unico sistema di misura sia la quantificazione della crescita si è incarnata anche nel lavoro del premio Nobel per la pace 2006 Muhammad Yunus, il così detto banchiere dei poveri, ideatore del microcredito.
Il cantiere aperto dalla Fondazione Symbola due anni fa con l’ideazione dei Piq (Prodotto interno di qualità) è forse espressione di questa cultura, ma vuole al contempo rimanere in un ambito di analisi scientifica. Uno strumento di scomposizione del Pil, per capire quanta parte di questa ricchezza è legata alla qualità e all’innovazione. “E quindi - spiega Livio Barnabò, responsabile del coordinamento operativo del Piq - un mezzo in grado di trasformarsi in una preziosa bussola per indirizzare la politica economica e industriale”.
La scommessa del comitato scientifico guidato da Domenico Siniscalco è stata quella di capire quanto di buono c’è nell’economia italiana. “Buono” che si è deciso di definire attraverso l’incastro di cinque variabili indipendenti: la qualità ambientale e il legame con il territorio; la qualità delle risorse umane; la qualità dell’innovazione; la qualità del posizionamento di un determinato prodotto e, infine, la qualità come competitività. Per ognuno di questi contenuti è stata poi formulata una serie di domande a un gruppo di 250 esperti settoriali (imprenditori, professori e analisti). Il mancato riscontro di tutte e cinque le caratteristiche descrive l’area della “non qualità” mentre la presenza di almeno tre elementi delimita “l’area del Piq”. Infine, quando si verificano tutte e cinque le accezioni, si entra nell’area dell’eccellenza.
Con il Piq si punta dunque a impostare in modo tangibile una misura monetaria della qualità italiana. Una conoscenza che poi possa intervenire nelle scelte strategiche, dalla Finanziaria agli investimenti per le imprese.
“La stima del Piq 2007 che abbiamo messo a punto - racconta Barnabò - è risultata pari al 44,3% del Pil. In termini quantitativi si tratta di un valore non inferiore ai 628 miliardi di euro”. Una quantità a prima vista molto consistente e in crescita rispetto alla precedente rilevazione del 2005 di circa tre punti percentuali. “Specchio di un Paese che sta crescendo e migliorando in modo apprezzabile anche se l’area della “non qualità” rimane piuttosto ampia”. Insomma, un dato che conferma la reazione delle imprese italiane alla competizione internazionale fatta attraverso gli strumenti dell’innovazione e noi più con quelli dei prezzo.
Particolarmente significati va è poi la lettura delle performance dei settori “dove si può vedete come diverse realtà abbiano reagito in modo differente al cambiamento”. Da una parte, in cima alla classifica con il 49,7% di Piq, c’è il Commercio. Sorto la media invece il Turismo (44,9%). “Il primo caso - continua Barnabò - dimostra come le liberalizzazioni facciano bene alla qualità. Si veda la legge Bersani che ha aperto alle grandi superfici provocando anche delle reazioni interessanti quali la rispecializzazione di larghe fasce del compatto”. Finiscono invece sotto i riflettori, ma come esempio negativo, gli operatori turistici “che hanno avuto il torto di agire come ex monopolisti, di pensare che il mito dell’Italia delle vacanze avrebbe vinto sempre e comunque”. Invece il risveglio è stato pesante. Solo alcuni brand hanno operato in controtendenza: Roma e il Trentino su tutti. Casi in cui il ciclo di investimenti è iniziato almeno dieci anni fa e che ora comincia a dare i suoi frutti.
Un altro esempio è l’agricoltura che, a sorpresa, si posiziona nella fascia alta del Piq con un percorso fatto grazie alla diffusione delle certificazioni di qualità e alla diversificazione in campo energetico e delle bioplastiche. Da non sottovalutare neanche gli effetti benefici del graduale disimpegno dei fondi comunitari che ha di fatto messo fuori gioco le produzioni di scarso livello. Sono poi emblematici i casi opposti di due prodotti simbolo del made in Italy: il vino e l’olio.
“Dopo la crisi dell’etanolo - continua ancora Barnabò - abbiamo assistito a una grande reazione del comparto che ha voluto utilizzare anche la genetica per migliorare la produzione”. Strada inversa ha compiuto invece l’olio che si è stabilizzato su una fascia di qualità media divenendo preda delle aziende spagnole.
E se la meccanica mantiene l’Italia nell’alta gamma dell’innovazione, sono trasporti, pubblica amministrazione logistica e servizi alle imprese il ventre molle del sistema. Ma l’altra grande criticità italiana nello sviluppo delle qualità che emerge dall’analisi del Piq riguarda la disponibilità di competenze scientifiche e tecnologiche. “Nel dopoguerra - conclude Barnabò - per diventare un Paese industriale abbiamo dovuto importare le materie prime. Così oggi bisogna lanciare un grande piano per attrarre dell’estero le risorse umane qualificate a sostenere il salto verso le economie del futuro”.

Cos’è il Piq ... Il Piq è il Prodotto interno di qualità, un indicatore per misurare la qualità nell’economia italiana. In particolare viene definita la percentuale di Pil prodotta con parametri competitivi.
Quest’anno il Piq è risultato il 44,3% del Pil, pari a circa 628 miliardi di euro in crescita di circa tre punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione del 2005. Il Piq è misurabile in termini monetari e quindi comparabile con gli aggregati settoriali e di spesa pubblica.
L’ideazione è della Fondazione Symbola. Fanno parte del comitato scientifico: Domenico Siniscalco, Livio Barnabò, Duccio Bianchi, Luigi Campiglio, Claudio Gagliardi, Alberto Piantoni, Valentino Piana e Sabina Ratti.
A 250 esperti (imprenditori, professionisti, analisti) sono state sottoposte batterie di domande sui diversi settori.

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