02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Il Sole 24 Ore

Consumatori indiani difficili da conquistare ... Più arretrati di quelli della Cina scoprono solo ora gli ipermercati... Tradizionalista, alle prime armi, frustrato per le scarse capacità di acquisto e diffidente. È l’identikit del consumatore indiano tracciato nel loro survey annuale dagli analisti di McKinsey. Per i quali l’India sarà anche destinata a diventare il quinto mercato più grande al mondo nel 2025, ma per ora resta il più arretrato di tutti i più grandi mercati in via d’emersione. Cina inclusa.
“La ragione - spiega Nicolò Galante, responsabile della Practice marketing in Italia per McKinsey - è semplice: il mercato indiano ha cominciato ad aprirsi alla grande distribuzione internazionale solo nel 2005”.
Gli abitanti di New Delhi non sono dunque abituati a un modello di shopping più moderno: due anni fa, solo l’1% di tutta la popolazione aveva esperienza con i supermercati e i centri commerciali, e non è che la percentuale oggi sia salita di molto: siamo al 5 per cento.
Difficoltà logistiche - Quanto alla diffidenza nei confronti dei marchi occidentali, oltre che al tradizionalismo, è legata alle difficoltà logistiche che la distribuzione dei prodotti freschi incontra nel Subcontinente. Raggiungere i negozietti di campagna impone alle merci tragitti tortuosi e soste prolungate in depositi intermedi che non sempre garantiscono, ad esempio, il grado di refrigerazione adatto. E dopo essere incappati in un prodotto avariato, i consumatori ci pensano due volte. Molto però è destinato a cambiare nei prossimi anni. Non tanto nel 2008, quando colossi come Carrefour o Tesco sbarcheranno e arriveranno in forze in India (Wal-Mart è già presente), ma fra quattro o cinque anni, quando la catena logistica sarà ben rodata. Il mercato retail è destinato infatti a passare dai 284 miliardi di dollari del 2005 ai 440 del 2010. Il reddito medio triplicherà entro il 2025. E per questa stessa data, il 41% della popolazione farà parte di diritto della classe media, contro un misero 5% attuale: un numero di persone pari non alla middle class, ma al totale degli abitanti degli Stati Uniti.
Non solo sari - “Se c’è un settore che esploderà prima degli altri, quello è il tessile”, assicura Nicolò Galante, prefigurando un futuro a breve termine di successo per i marchi occidentali che porteranno in India le loro catene di abbigliamento.
Due, in particolare, i sottosettori della moda che cresceranno di più: “Da un lato - continua Galante - gli abiti formali da uomo: giacca e cravatta sono capi di cui già oggi l’India del business non può fare a meno. Dall’altro lato, si tratta dell’abbigliamento informale da donna”. Il sari, cioè, resiste come scelta tradizionale per le occasioni eleganti, ma per la vita di tutti i giorni, soprattutto nelle città moderne, si guarda con interesse agli abiti casual di foggia più occidentale.
Prodotti ad hoc - Conquistare un mercato tradizionalista come quello del Subcontinente asiatico non è facile: “Gli indiani - spiega Ireena Vittal, partner di McKinsey India - tendono a scegliere i marchi stranieri soltanto se riescono a offrire prodotti tagliati ad hoc proprio sul consumatore indiano”. Più ancora che nella Repubblica popolare cinese, qui è infatti fondamentale camuffare un prodotto come se fosse indiano.
E cosa pensano a New Delhi del made in Italy? “Per gli indiani - prosegue Ireena Vittal - l’Italia è sinonimo di lusso e di fashion. Ma anche di auto e, ultimamente, di buone bottiglie di vino”. Nonostante le rosee previsioni per il futuro, ad oggi però il consumatore indiano è più arretrato di quello cinese: “Non tanto per la disponibilità media di spesa - sostiene ancora Nicolò Galante - per la quale si equivalgono, quanto per le scelte di consumo”.
Più tradizionalisti Più tradizionalisti dei vicini della Repubblica popolare, gli indiani hanno la sensazione che i marchi stranieri siano di qualità inferiore (42 per cento, contro il 35% della Cina), e aprono il portafogli soprattutto per beni di prima necessità, come il cibo (39% del paniere familiare, contro il 28% dei cinesi).
Ma soprattutto, continuano ad aver paura di essere imbrogliati: il 67% degli indiani parte dal presupposto che il commerciante lo voglia trarre in inganno, contro il 25% dei più navigati cinesi.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su