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Il Sole 24 Ore

Io, produttore, dico sì a Bruxelles ... La a riforma europea del vino è normativa complessa, da alcuni vissuta come dato esogeno vincolante, distante dal quotidiano operare d’impresa, costrittivo verso gli operatori, da altri come frutto di un’azione corale di imprese, istituzioni locali e nazionali, per la costruzione di un quadro istituzionale rispondente alle esigenze delle imprese inserite nei propri sistemi territoriali, ossia una leva utilizzabile dal “Sistema Italia del Vino” per competere meglio in un mercato ormai globale.
Opterei per tale seconda prospettiva, in guisa da contemperare creatività e spirito di intrapresa, alla base dell’idealtipo di imprenditore nazionale, con il pragmatismo atto ad aggregare le forze tra componente privata e parti istituzionali, per un’azione più efficace nelle sedi sovranazionali. Ma veniamo al tema.
La tradizione e l’immagine di territorialità, tipica del vino italiano, ha indotto una serie di reazioni alla presentazione della proposta della Commissaria Fischer Boel (si veda articolo a pag. 3). Anche chi scrive, espressione di una tipica famiglia del vino, multi-generazionale, fortemente legata al proprio territorio, che produce in larga maggioranza vini a Docg, dovrebbe essere annoverato nella schiera negli oppositori.
Eppure non riesco a collocarmi con convinzione su quel versante. Il pensiero libero di chi fa impresa non può non rivendicare, entro un quadro istituzionale chiaro, essenziale e intelligibile soprattutto da parte dei consumatori, margini di manovra per l’azione strategica, entro i quali l’individuo possa cimentarsi con la propria capacità di sintesi, di far valere ragioni e visioni del mondo.
È utile mantenere al centro gli uomini d’impresa, capaci di catalizzare processi virtuosi di creazione e diffusione di valore nel proprio territorio, che poi si riverberano positivamente sugli stessi operatori, sulle produzioni e sulle comunità locali: il vino è simbolo esemplare ditale dinamica sinergica tra marca privata e marca territoriale. È su queste premesse che si fonda l’idea di sostenere una linea di riforma che accompagni il mondo del vino, con i tempi e le cautele del caso, verso una logica più orientata alla ricerca di competitività per la filiera nel suo insieme, perché si affranchi dal retaggio di un contesto ancora in cerca di sostegni e protezioni dall’esterno.
Sono cresciute in numero e mutate in composizione le platee interessate al messaggio del vino. Non si può dunque non accedere a un linguaggio comprensibile a chi opera sugli scenari competitivi extra-europei, e ciò senza rinunciare agli assets rappresentati dalle proprie peculiarità territoriali, anzi valorizzandoli in termini di riconoscibilità sul mercato.
Certo, nella proposta vi sono elementi non condivisibili e da modificare, soprattutto in ordine alle modalità e alle tappe per un cambio di orientamento, ma con lo sguardo proteso a fluidificare tale transizione culturale. Da esponente di un’azienda di tradizione e di territorio, mi sento, piuttosto, pronto a lavorare per correggere i punti anomali, salvando le premesse concettuali di un disegno complessivo, che mantenga al centro l’impresa, la competitività, il valore.

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