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Il Sole 24 Ore

“Globali per vincere” ... Quando mi chiedono di parlare divino, dimentico di essere un produttore abruzzese e italiano: lo faccio per ragionare senza andare fuori strada. Quando parlo di vino, so di essere un cittadino europeo, un imprenditore che deve guardare al mondo per imparare e per crescere. So di stare nella globalizzazione, che non deve diventare una parola ripetitiva e vuota, ma deve indicare una situazione con la quale abbiamo tutti l’obbligo di confrontarci. Nel bene e nel male, senza demonizzarla, facendone anzi il nostro cavallo vincente nella corsa alla qualità e allo sviluppo. Non sono cose che penso da oggi. Le sostengo dal 1986 quando ero ancora un piccolo e sconosciuto produttore d’Abruzzo: avendo già da allora compreso che il nostro riferimento doveva essere il mondo, avendo già da allora aperto una rappresentanza commerciale a Boston e puntando già da allora sugli Stati Uniti, il più importante e ricco mercato del mondo. Lo dico per la cronaca, ancorché con un pizzico di quella vanità che accompagna le imprese di ogni uomo che affronti la scommessa dell’impresa: e, in Italia, dio sa quanto la scommessa sia rischiosa.
Senza farla lunga e senza nostalgie da Albero degli zoccoli, mi preme parlare dell’oggi e del domani che è già arrivato. Oggi l’Europa, che nell’86 era un cantiere aperto, oggi l’Europa c’è. C’è come entità sovranazionale, c’è come comunità sociopolitica, c’è come forza economica, soprattutto in settori come quello del vino. Ha qualche incertezza nell’affrontare i problemi della globalizzazione, talvolta si entusiasma e talvolta si spaventa, ma comincia ad aver ferma la consapevolezza che indietro non si torna, che non si può fare diversamente.
L’incertezza favorisce talvolta la nascita del dubbio e dello smarrimento. Dubbio e smarrimento rinfocolato oggi dalla forza dell’euro che si avvia rapidamente al valore di un dollaro e mezzo. C’è chi invoca soluzioni finanziarie nei tassi e nella Bce, come una volta si faceva con la svalutazione della lira e delle monete nazionali. Io penso che, al di là delle misure che i banchieri centrali immaginano, i produttori hanno il dovere di accettare la sfida, che è quella della qualità. Mi rifiuto di pensare agli europei come ai cinesi del vino, come ai fasonisti dell’agricoltura che fanno il porta a porta negli Stati Uniti offrendo lo sconto di qualche centesimo a bottiglia, per tenere le posizioni. Io penso che non sia questa la strada. Non siamo i rappresentati con la valigia di cartone (o di finta pelle) che vendono marchi sconosciuti e senza qualità. Siamo parte del migliore made in Italy e, da ieri, del made in Europe. Questa è la direzione.
Per non limitarsi alle parole, c’è bisogno di costruire strumenti, concretezze. Per questa ragione Planeta, Marco Caprai e il sottoscritto stanno costituendo un consorzio che si allargherà ad altri produttori; un consorzio capace di dialogare col mercato globale in quanto a qualità, sviluppo e commercializzazione.
Un primo passo verso un consorzio europeo, che parli al mondo senza complessi di inferiorità. E lo faccia senza aspettare i discorsi psichedelici della politica che spesso non sa di che cosa parla. Chi comincia a lavorare la mattina alle cinque e si confronta con il sole, la pioggia, la grandine, il credito e i mercati mondiali sa di che cosa parla. Lo sa per 24 ore al giorno.
La nostra scelta del Consorzio italiano ed europeo vuole supplire a questo vuoto e assumersi le responsabilità del caso. Ma se la politica facesse la sua parte, piccola magari ma forte ne guadagnerebbero innanzitutto l’integrazione europea e l’interesse generale. Non sarebbe poca cosa.

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