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Il Sole 24 Ore

Una terra ricca di primati ... Più di 50 milioni di ulivi da cui si ricavano 400-600mila quintali di olio... La Puglia, da Apulia, ovvero la popolazione degli Iapigi che abitava l’area centro settentrionale della regione in epoca preromana, ha il territorio relativamente più pianeggiante dello Stivale.
Solo l’1,5% della superficie regionale, pari a 19.350 km quadrati, è montuosa: nei fatti si tratta di un’area corrispondente alle alture del Gargano con la punta del monte Calvo che raggiunge 1.055 metri di altezza.
Tutto il resto è per il 45% collina, con la punta più alta di 540 metri di Castel del Monte, nei pressi di Andria, e il 53,5% pianura, laddove il Tavoliere di Capitanata è per estensione secondo solo alla pianura Padana.
Non v’è dubbio che la morfologia territoriale abbia facilitato lo sviluppo delle colture agricole e zootecniche sin da epoche antiche. E tutt’oggi la Puglia è per prodotto lordo vendibile la terza regione agricola del Paese. Il censimento del 2000 ha conteggiato 352.510 aziende, per un totale di 1,25 milioni di ettari: Bari è la provincia con il maggiore numero di imprese (118.720) e Foggia quella con l’area più estesa (con 500.843 ettari).

Le colture di tipo intensive e con un elevato apporto di tecnologie moderne sono le più varie e, quel che conta, mediamente tutte di prima qualità, a cominciare dalle primizie orticole.
In non pochi casi si tratta di colture che danno alla regione la leadership a livello nazionale: così è per il grano duro destinato alla produzione di pasta, per verdure e ortaggi quali insalate, carciofi e pomodori (poi lavorati negli stabilimenti della vicina Campania) e per l’olivicoltura. Settore in cui si calcola siano più di 50 milioni gli alberi di ulivi che assicurano dal 30 al 40% dell’offerta totale di olio extravergine made in Italy.

E non mancano i primati mondiali. E il caso dell’uva da tavola prodotta dai 15 ai 20 milioni di quintali (a seconda dell’annata) e del vino prodotto dai 7 ai 10 e più milioni di ettolitri. Un settore, quello del vino, ché per molto tempo ha visto il prevalere di una insana politica produttiva basata sulle grandi quantità, e che solo negli ultimi dieci-quindici anni è riuscita ad avviare un capovolgimento prospettico, con il buono e il bello del fare vino che hanno allargato i confini della specializzazione produttiva (Doc e Igt ormai bilanciano l’offerta totale), oltre che alimentare, a nuove aspettative.
Questo processo non può certo dirsi completato. Va da sé che l’orientamento intrapreso sta già dando frutti soddisfacenti, anche se molta resta la strada da fare per portarsi al pari di altri territori, che rappresentano le punte di eccellenza dell’enologia nazionale.
Questo gap comunque non è incolmabile, come hanno dimostrato abbondantemente taluni produttori pugliesi con prodotti abbonati alle “eccellenze”, come capita al Terranera del Conte Spagnoletti Zeuli, ma anche ad altre realtà vitivinicole della regione del calibro di Torrevento, Torre Quarto, Leone de Castris, Vallone, Zecca, Rosa del Golfo, Mottura per citarne solo alcune.

L’elenco potrebbe continuare a lungo, ma è necessario considerare anche quei produttori giunti “da fuori” a investire le proprie risorse in Puglia.
Imprenditori, cioè, che hanno avviato intese commerciali, com’è il caso dell’azienda toscana Rocca delle Macìe della famiglia Zingarelli, che distribuisce i vini del Consorzio produttore vini di Manduria; oppure i casi di aziende del Nord attratte da potenzialità e opportunità offerte da questa terra di Puglia.

Tra i primi a mettere radici sono arrivati i Gancia di Canelli, entrati molti anni fa a fianco della famiglia De Corato nell’azienda Rivera, tra Andria e Castel del Monte. Una zona, questa, su cui ha puntato anche Piero Antinori, realizzando la tenuta di Tormaresca a Minervino oltre che in Salento.
Quello stesso Salento che ha convinto il Gruppo Italiano Vini a investire nella Masseria Monaci, o il gruppo Zonin a lanciare i vini firmati Masseria Martini Carissimo.

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