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Il Sole 24 Ore

Lo scarso bevitore ... Tutti gli occhi sono puntati sul calo del pane e della pasta che, data la loro importanza nell’alimentazione, sono significativi. Ma come hanno diminuito i piatti di pastasciutta, gli italiani bevono sempre meno vino (-8,4%). Una conferma congiunturale del 2007 che ribadisce il crollo del consumo pro capite, giunto a 48 litri dagli oltre 100 negli anni 50. C’è chi, tra i produttori, si fa forte del fatto che oggi si beve meno ma meglio.
Che si consumi vino in misura minore non ci sono dubbi, sul fatto che la qualità del made in Italy in cantina sia cresciuta anche, ma viste le scelte della spesa di vino ho qualche dubbio sull’affermazione che si beva meglio. I rumors della grande distribuzione, infatti, dimostrano che la fascia di etichette che non sente crisi è quella fino ai 3-4 euro. Non metto in dubbio la qualità di questi rossi e bianchi, ma non mi pare che i nostri produttori, specialmente in questo ultimo decennio, abbiano scelto questo target di prezzo. Anzi! Sono proprio i concorrenti stranieri a coprire questo spazio, ma lo saranno ancor di più con l’arrivo delle produzione dell’Est.
Le aziende made in Italy hanno puntato soprattutto sui canali specializzati (horeca, hotel-restaurant-canteen ed enoteche-wine bar), quasi a voler urlare il loro si beve meglio, mentre hanno trascurato la Gdo, ritenendo fosse un canale che non offrisse prestigio. Purtroppo, proprio nei momenti di calo dei consumi, la grande distribuzione diverrà un canale di consumo privilegiato. Ma è solo il prezzo della bottiglia a provocare il calo di consumo di vino? Certamente in un periodo di diminuzione dei redditi e di aumento dell’inflazione, il costo di un bene voluttuario come un bicchiere di rosso o di bianco pesa eccome. Sarebbe sciocco negarlo.
Forse è il maggior colpevole. E su questo tasto potremmo riproporre un vecchio refrain: l’aumento dei produttori di vino all’origine nel passaggio dalla lira all’euro, il successo di molti produttori decretato dalla critica che si ripercuote sul costo delle etichette, il ricarico, a volte, fuori misura di molti ristoratori. Ci sono però altre cause esogene molto importanti: il recente controllo stradale del tasso alcolico, nonché un’ondata salutistica molto penetrante nell’opinione pubblica. L’aspetto davvero influente è però quello “salutistico-dietetico”, nonché alcune campagne contro l’alcol che hanno ferito pure il vino.
Ma i dati delle esportazioni di vino made in Italy nel mondo sono davvero eccellenti, in grande crescita, al punto da trainare la nostra bilancia alimentare, quasi una contraddizione con quanto avviene in Italia. Il paradosso è che neppure negli Stati Uniti, il mercato di maggior sbocco dei vini italiani, il trend dei consumi è positivo!
Come leggere allora questo status quo? È finita l’era dei vini apolidi (cabernet, chardonnay, merlot, sauvignon), prodotti in ogni angolo della terra, sempre più orientati alla fascia bassa di prezzo per l’enorme quantità prodotta e dunque adatti allargo consumo. Mentre i vini legati al territorio, quali gli italiani, di fascia più alta, sono destinati prevalentemente ai canali specializzati, facendo aumentare in valore l’export.

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