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Il Sole 24 Ore

Il cibo gourmet è una leva forte per lo sviluppo ... Il cibo può assumere la funzione di “medium” in grado non solo di comunicare cultura materiale, tradizione, emozioni, sapori, profumi ma di generare valore nel territorio, attraverso il turismo. Insomma il “mangiarbere” è ormai diventato un grande faro in grado di attirare l’interesse dei viaggiatori e dei media distribuendo nuova e inaspettata ricchezza nel territorio.

Un’eresia? Una provocazione? Così sembrava ma oramai è una realtà indiscutibile. Il giacimento-medium è in grado di illuminare un territorio, rendendolo visibile e visitabile al gastronauta o al food trotter, sviluppando di conseguenza ricchezza nel suo luogo d’origine che diventa trasparente (a differenza del prodotto globale), e provocando l’incontro tra il consumatore e il produttore. Un modo di instaurare un rapporto di fiducia, quasi una forma di garanzia di qualità che supera bolli o marchi. Per il consumatore il cibo ormai trascende la gola e il palato.
La riscoperta delle radici, l’interesse per la zona di provenienza, la sensibilità per gli aspetti antropologici, il desiderio di conoscere la storia, la dimensione estetica-sensoriale si sommano e vanno a interferire con la gratificazione orale nell’apprezzamento di molti prodotti o di diversi piatti. In passato purtroppo i prodotti, così detti tipici, o i piatti e le ricette del territorio sono serviti solo, come contorno per identificare le caratteristiche particolari dei luoghi: architetture, paesaggio eccetera.
L’uso de1 cibo, così fatto, da puro riempitivo o da sottocomprimario è da giudicarsi non solo dannoso, ma da rigettare; ciò di cui necessita è un cibo, divenuto protagonista di una rivoluzione copernicana: è lui il centro della guida, del richiamo, dell’attenzione, ma autentico, originale, valido e insomma, medium.
Può sembrare un paradosso del turismo, ma il food trotter e il gastronauta si muovono in funzione del cibo, quindi sono attirati dall’ambiente, dalla cultura, dall’arte, dalla storia, dal paesaggio. Il contrario di quanto avveniva in passato, quando il ristorante o l’acquisto di salumi, di dolci, di pane, di formaggi, di vino e olio erano il “riempitivo” del week end, programmati in supporto alla visita al museo, a una mostra o al borgo medievale.
I giacimenti, i gastronauti, i food trotter, il terroir, il tipico non sono personaggi di un gioco ma fanno parte di un puzzle che, una volta composto, è in grado di sviluppare i tanti territori d’Italia poveri, dove la disoccupazione regna da sempre senza più speranza di cattedrali odi globale.
L’arcipelago dell’agroalimentare in questo Paese è sempre stato emarginato, così come i prodotti minori o in via di estinzione, forse per questo c’è ancora molto da scoprire.
Certo non è facile sviluppare un territorio puntando su un medium, come il giacimento gastronomico, quando non c’è ombra di imprenditorialità o quando il marketing collettivo (amministrazioni locali, produttori, albergatori, ristoratori, promotori culturali) è solo sulla carta. Il modello sul quale puntare infatti si basa su una convinzione: funziona se gli accoppiamenti giudiziosi (territorio, giacimento, cultura,turismo e ambiente) agiscono all’unisono.
Uno, dieci, cento giacimenti possono costituire una rete, legarsi, collegarsi, comunicare insieme, vendere gli itinerari come hanno dimostrato gli esperti spagnoli con i campi da golf nella Costa del Sol.

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