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Il Sole 24 Ore

Svolta sul vino: import record per l’Europa ... Bilancia commerciale. I1 dossier Oiv sul mercato enologico evidenzia un saldo negativo... Addio sogni di grandezza per l’Europa enologica. Che da maggiore produttore, consumatore ed esportatore di vino, è diventato anche importatore netto. Un altro trofeo da numero uno, che però questa volta in tanti nel vecchio continente avrebbero fatto a meno di avere e sul quale forse pochi avrebbero scommesso potesse accadere. Invece è accaduto che nel 2007 l’indice dei flussi europei all’export è stato superato di tre lunghezze dal corrispondente indice all’import di vini provenienti dai Paesi terzi (72 contro 75).
Uno squilibrio, si dirà, marginale e apparentemente non strutturale, ma attribuito a logiche
congiunturali dell’anno che - come risulta dal rapporto dell’Organisation internationale de la vigne e du vin sulla congiuntura mondiale del settore - ha visto la produzione mondiale di vino scendere a 267 milioni di ettolitri (-8,2% sul 2006), mentre il commercio mondiale è cresciuto di una percentuale analoga a 91,3 milioni di ettolitri. Tanto è bastato per spingere taluni Paesi in Europa, la cui produzione è stata più penalizzata che altrove (161 milioni di ettolitri, in calo del 9,3%), ad aumentare l’import. Compreso il prodotto importato in via temporanea.
Ma tant’è, la tendenza in atto non lascia ombra di dubbio sulla maggiore capacità acquisita dai Paesi dell’Emisfero Sud e America del Nord di incidere sul mercato enologico internazionale. Capacità che a partire dalla metà degli anni 90 è stata ampiamente dimostrata in termini produttivi (la superficie viticola nel mondo è pari a 7,9 milioni di ettari, di cui 3,85 milioni in Europa), e ora si trasferisce puntualmente anche sull’interscambio vinicolo.
Un aspetto, questo, che il rapporto presentato a Parigi dal direttore generale Federico Castellucci, prende in debita considerazione. Mettendo così in evidenza il fatto che la storica leadership dell’Europa di incidere con percentuali bulgare sull’interscambio internazionale - nel 1990 cinque Paesi (Italia, Francia, Germania, Spagna e Portogallo) controllavano il 79%, che
saliva al 90% comprendendo i Paesi Peco, poi confluiti nella Ue a 27 -, pur restando ancora molto alta (62% nel 2007 contro il 65,5 dell’anno prima), negli ultimi anni è stata fortemente erosa.
Ad avvantaggiarsene sono stati i cosiddetti nuovi paesi produttori che, dal 3% del ‘90 e dell’8% nell’ultima decade sono stati protagonisti di una crescita costante e percentuali a due cifre. Passando da una media del 15% negli anni 1996-2000, al 25% nel 2006 per finire al 28% lo scorso anno. E questo nonostante la loro stessa capacità produttiva sia stata comunque messa a dura prova da condizioni meteo avverse. Basti dire dell’Australia, Paese che più di altri si è distinto nel portare l’attacco alla roccaforte europea, che nel 2007 ha dovuto fare i conti con un tracollo della vendemmia senza precedenti: 9,6 milioni di ettolitri, contro i record consecutivi dei due anni precedenti, pari a 14,3 milioni di ettolitri.
Ma cosà accadrà domani, appena le condizioni in questi Paesi torneranno ottimali e potranno sfruttare al meglio i nuovi vigneti piantati a rotta di collo?
“E’ evidente che l’Europa sconta una situazione di maturità che altri paesi non hanno - commenta Piero Mastroberardino, vignaiolo tra i più rappresentativi e presidente di Federvini -. Per questo ritengo che da parte nostra l’approccio al mercato dovrebbe essere ripensato, differenziando l’offerta in modo da creare effetti di rilancio. Ma bisognerebbe pure intervenire sulla sovrastruttura burocratica, snellendone le procedure che senza ombra di dubbio oggi costituiscono il maggiore ostacolo alla crescita. Dell’Italia e dell’Europa”.

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