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Il Sole 24 Ore

È il momento di pensare alla riforma ... Nel momento felice dell’export del vino made in Italy, eccoti puntuale la botta: scandalo a Montalcino, dove si produce il Brunello, rosso di gran moda negli Stati Uniti e, a quanto pare altro grave incidente a Pantelleria, isola benedetta dal passito. Una coincidenza forse con l’altro scandalo della mozzarella di bufala campana Dop in alcune ristrette aree del Casertano, sempre quando questo prodotto stava conoscendo un grande successo nel mondo.
Viene da chiedersi se tutto ciò sia una fatalità oppure una manovra, insomma un’operazione a favore di altro vino o di un altro formaggio.
E davvero difficile poter credere che la concorrenza abbia armato la magistratura, forse può aver messo sull’avviso di una qualche frode, magari sussurri, lettere anonime ma, seppur tutto questo avesse qualche barlume di verità restano sul campo fatti non gravi, ma gravissimi.
Non vorrei richiamare alla memoria lo scandalo del metanolo del 1986, di cui molti si consolano ricordando che è stato il motore del rinascimento del vino italiano. Davvero sciocco fissarlo così nella storia vinicola. E stato un momento drammatico e, se le indicazioni che giungono dalle procure sono corrette, potremmo essere all’alba di un altro periodo tribolato: oltre ai problemi del Brunello e del Passito di Pantelleria, sembra sia all’orizzonte un’adulterazione in piena regola e in grande stile. Il ministero della Salute e quello delle Politiche agricole e alimentari hanno tranquillizzato la Ue e i consumatori: dalle analisi emerge solo l’utilizzo di acqua e zucchero. Nessuna sostanza nociva. Ma il problema resta.

Certo meno gravi per le conseguenze alla salute, ma non da tollerare sono invece le voci che arrivano da Montalcino dove i disciplinari di produzione dei Brunello non sono stati rispettati, ma alcune bottiglie delle più prestigiose aziende made in Italy sono state prodotte con vini o uve provenienti da altre regioni.
Dunque una vera e propria truffa al consumatore, visto anche il prezzo di quelle etichette. Il ricorso alle uve o ai vini di altre regioni, quasi sempre del Sud, è una pratica da sempre diffusa in questo Paese. Le leggende di autocarri con targa pugliese, calabrese e siciliana a spasso per le più blasonate regioni vinicole come Toscana, Piemonte o Veneto, spesso sono diventate storia, ma con la crescita qualitativa e commerciale dei territori fornitori sembrava che la pratica truffaldina fosse scomparsa. A quanto pare è ancora una triste realtà.
Questo scandalo avrà ripercussioni commerciali non indifferenti, anche perché in questi giorni migliaia di operatori internazionali sono presenti a Verona per il Vinitaly, una delle più prestigiose rassegne vinicole del mondo. Considerate le griffe in ballo, l’autenticità delle etichette made in Italy potrà venir messa in discussione. Per questo motivo è davvero importante che la magistratura faccia luce al più presto. Visto l’andamento dei consumi di vino in grande calo nel mercato interno, la domanda estera in grande spolvero fino ad oggi, ha salvato i produttori italiani. Domani è un altro, giorno si vedrà...

Questo scandalo è ancora più bizzarro perché giunge nei momento in cui è in atto una rivolta proprio dei produttori italiani contro l’Unione europea che nel 2009 varerà un provvedimento che concede a un qualsiasi produttore divino del pianeta, di indicare assieme all’anno della vendemmia, anche il nome del vitigno.
Ciò significa che potremmo avere un nebbiolo di Canada, un montepulciano di Australia, un sangiovese di Napa Vailey ecc. Insomma un nuovo ratto delle Sabine da parte di altri Paesi produttori dei nostri vitigni autoctoni, compreso, guarda caso il sangiovese e il montepulciano, protagonisti dello scandalo di Montalcino.
Così da pochi giorni è in atto lo starnazzare delle oche (si legga produttori e associazioni) del Campidoglio, contro questo provvedimento. Ora per protestare contro l’Unione europea ci vuole davvero una faccia di bronzo!

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