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Il Sole 24 Ore

Il vino viaggia con la certificazione ... Sanità. Dopo lo scandalo delle frodi aumenta la richiesta dei controlli... Vino adulterato, secondo atto. Con la Coop Toscana che invia una lettera ai fornitori abituali, chiedendo loro di dare oltre alle consuete certificazioni di conformità, una dichiarazione che escluda qualsivoglia contatto con le aziende coinvolte nello scandalo della sofisticazione. E questo per ciascuna consegna e partita effettuata.
Dello stesso tenore è l’auto certificazione e assunzione di responsabilità che debbono produrre gli esportatori italiani che forniscono alcune grandi catene alberghiere che operano in Norvegia, Giappone e Cina.
Insomma, il timore di restare invischiati sia pure marginalmente nel fattaccio sta, com’era immaginabile, burocratizzando i rapporti tra distributori e venditori divino. Tutto per colpa di pochi mascalzoni che la magistratura ha messo a tacere, almeno per quanto riguarda i 150mila ettolitri di sostanze vinose già individuate.
Resta invece aperto il capitolo più ampio di 300mila ettolitri. Che secondo il settimanale “L’Espresso” (nel numero in edicola torna sull’argomento) conterrebbe “sostanze dannose alla salute”. Una tesi confutata dal ministro delle Politiche agricole Paolo De Castro, che parla invece di “informazione adulterata”.
In una nota diffusa ieri, il ministro sostiene che è in atto “un attacco violento ai prodotti made in Italy, con il quale si è volutamente seminare panico tra i consumatori con notizie distorte e confuse”. Confusione che dall’Unione italiana vini a Confagricoltura, dalla Cia a Coldiretti vorrebbero assolutamente evitare, perché minacciano l’immagine stessa del vino italiano. “Che invece - sottolinea Piero Mastroberardino della Federvini - può continuare a meritare la piena fiducia dei mercati in Italia e all’estero”.
Ma se la vicenda della sofisticazione sembra per il momento individuata anche se non ancora risolta, paradossalmente è la frode in commercio perpetrata ai danni del Brunello di Montalcino che appare sulla carta più complicata. Per la ragione che in questo caso è relativamente semplice accertare se il corpo del reato - il vino dell’annata 2003 sequestrato alle cinque aziende inquisite - contenga o no prodotto di altro vitigno. Più difficile, invece, è capire se l’aggiunta è stata fatta con Sangiovese di altra provenienza.
Non solo. Ma se dovesse emergere che la frode c’è stata, è presumibile che anche il vino delle annate successive rischi di restare bloccato. Con le conseguenze che tutti possono immaginare. E per questo che sarebbe opportuno che la magistratura faccia al più presto piena luce. Anche per mandare un messaggio di distensione ai consumatori di tutto il mondo, che hanno il diritto di sapere se comprano Brunello di Montalcino fatto con le uve del territorio indicate dal disciplinare. Che la recente assemblea dei produttori ha convalidato a quanto pare all’unanimità per filo e per segno.
Intanto dall’America arrivano notizie poco rassicuranti: l’Iwfi di New York fa sapere che nei primi due mesi dell’anno l’import totale divino è diminuito del 5,5%, con il vino italiano che attenua questo calo a un modesto uno per cento. Solo che questo segno meno arriva dopo otto anni di crescita continua.

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