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Il Sole 24 Ore

Vino, marketing sotto accusa ... De Piazza: “Troppi ostacoli” - Caprai: “I progetti sono bloccati”... Buonitalia è paralizzata dalla burocrazia mentre manca una regia per gli eventi all’estero... Diciotto mesi di buoni propositi resi sterili da una burocrazia farraginosa e inconcludente. Accade nel giardino di Buonitalia, la Spa del ministero delle Politiche agricole nata per promuovere la tavola made in Italy nel mondo. Dove il consigliere Marco Caprai, vignaiolo di rango in quel di Montefalco, non ha trovato stimoli per continuare a dare il proprio contributo di imprenditore di successo.

Così dopo 18 mesi “di niente”, lo “scopritore” del vino Sagrantino ha pensato bene di chiudere quella che non esita a definire “un’esperienza che non ha visto decollare uno straccio di progetto, bloccati da veti e controveti di ogni genere. E’ incredibile vedere una struttura che ha 50 milioni di dotazione finanziaria che non riesce a spendere, che ha 35 amministrativi e nemmeno un project manager”. Di cose strane nel sistema vino italiano non ci sono solo i conti che non tornano” o le varie sofisticazioni che ledono all’immagine di tutto il sistema Paese. Si prenda la promozione: cosa e quanto si fa di concreto per un prodotto che comunica il territorio? Un invito a nozze per Lucio Caputo, direttore dell’Iwfi di New York, che spara a zero. “Nel principale mercato per il vino italiano, gli Usa, l’Italia istituzionale - dice - è praticamente assente. Le sole iniziative appartengono a singole imprese o enti privati”.

Ma come?, c’è l’Ice, c’è Buonitalia, ci sono le Regioni che organizzano missioni ed eventi a destra e a manca. “Per l’appunto, troppe iniziative per lo più fatte senza alcun coordinamento tra loro”, commenta il toscano Sergio Zingarelli di Rocca delle Macie, azienda che esporta il 50% della produzione nel solo Nord America. Secondo il quale “l’Italia otterrebbe di più se all’estero si andasse con un messaggio univoco”.

Invece succede che l’Ice, che ha strutture in 8 Paesi, nel 2007 ha avuto solo 1,5 milioni di euro per organizzare eventi a favore del vino. Niente rispetto ai 20 miliardi di lire che gestiva nei primi anni del decennio 90. Colpa di Buonitalia che ha finito per distrarre risorse? All’Ice, va da sé, preferiscono svicolare sul merito della questione, preferendo invece porre l’accento - come fa il responsabile della sezione vino, Stefano Raimondi - sulla “visione d’insieme ed efficienza che la rete dell’Istituto è in grado di fornire alle imprese che vogliono andare sui mercati esteri”. Efficienza che invece risulta carente a una struttura come Buonitalia, la cui personalità giuridica dovrebbe garantire piena rispondenza alle esigenze di mercato. Ma è proprio così?
A un anno dalla nomina a presidente e amministratore delegato della Spa, Emilio De Piazza non nasconde di avere qualche perplessità. Dice: “Quando si fa promozione, le opportunità vanno colte al volo. Se questo non accade, saranno gli altri ad avvantaggiarsene. Ebbene, in questo anno di gestione non nascondo che ci siano stati tanti ostacoli, sicché abbiamo finito per gestire cinque progetti della gestione precedente, mentre dei 23 progetti che abbiamo presentato in
autunno per il 2008 a tutt’oggi non sappiamo nulla di nulla”. E senza programmazione è chiaro che non si va da nessuna parte. Caprai ipse dixit.

Certo non si andrà da nessuna parte se non si decide di mettere mano alle riforme minime che il settore auspica da tempo. Per esempio “l’eliminazione di sovrastrutture - dice il direttore generale di Federvini, Ottavio Cagiano de Azevedo - che impediscono al settore di cogliere le opportunità che il mercato internazionale offre. Parlo della semplificazione della gestione amministrativa, della riforma della legge sulle denominazioni di origine che, da un lato, salvaguardi le produzioni espressione del territorio e, dall’altro, dia la possibilità di offrire prodotti che il consumatore chiede”. “Non è possibile che se noi oggi abbiamo bisogno di introdurre il tappo a vite - osserva l’ad del Gruppo Italiano Vini, Emilio Pedron - dobbiamo attendere un anno di iter burocratico. Agli australiani bastano poche settimane. Certo, abbiamo bisogno dileggi che dettino i fondamentali, ma poi bisogna essere elastici su tutto ciò che è collaterale. La legge 164 sulle Doc, per esempio, va rivista da capo a piedi, soprattutto se dovesse passare quanto indicato nella recente riforma Ocm-vino che, tra le altre cose, minaccia l’estensione del nome di vitigno anche ai vini da tavola”. E poiché l’Ocm-vino sarà il banco di prova a cui il settore dovrà dare delle risposte a breve, il presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni fa sapere di non avere “nulla in contrario ad adeguare la normativa delle pratiche enologiche agli standard dell’Oiv, a patto che non si creino sperequazioni che possano indebolire la competitività del sistema Italia”. Nuovi standard, efficienza amministrativa che trovano allineato un difensore della territorialità come il presidente di Coldiretti Sergio Marini, il quale fa notare che “la semplificazione non deve significare meno controlli. E soprattutto bisogna impedire di affidare questi controlli agli stessi controllati”.
Insomma, chiunque sia il nuovo responsabile della Politica agricola italiana, in tema di vino (e non solo) sa già di dovere correre parecchio.

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