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Il Sole 24 Ore

Guadagnare col vino ... Sono decisamente positivi i rendimenti
dei fondi e delle Sicav nate negli ultimi
anni e che investono nel vino: come il +10,9% da inizio 2008 del Nobles Crus, il
+80% del Vintage Wine Fund, lanciato nel
20030 +45% del Fine Wine Fund, nato nel
2006. Performance che attraggono soprattutto gli amanti del buon bere. Ma non prive di rischio, come ricorda chi vide scendere i prezzi a causa della crisi delle tigri asiatiche di dieci anni fa. L’indice del Liv-ex 100 dei migliori vini al mondo, in cui prodotti francesi sono rappresentati per il 92% del totale, segna un rialzo del 176,6% dal luglio 2001.


Buoni vini messi all’indice ... Nel Liv-ex 100 prevalgono i pregiati francesi, molto scambiati nelle aste... Un settore che appassiona anche per le possibili rivalutazioni delle migliori produzioni uniche... Ragione e passione. Il binomio è realizzabile, per gli investitori che possano dare valenza finanziaria agli oggetti del proprio desiderio: quadri, barche, pietre preziose, francobollo rari, ma anche una bottiglia di vino d’annata. Si, perché l’interesse per il vino d’autore, negli ultimi anni, non si è imposto solamente nell’enogastronomia ma anche in quello della finanza. A dominare il paradiso terrestre degli intenditori/investitori è la scena francese, forse perché i pionieri della giovane industria dell’investimento enologico sono i grandi palati transalpini. Nei portafogli-cantina troviamo i grandi rossi come i Bordeaux e i Borgogna, e gli Champagne. L’Italia è rappresentata dai prodotti d’eccellenza, come il Brunello toscano, i piemontesi Barolo e Barbaresco, qualche esemplare scelto dell’Amarone veneto. Marginale è il ruolo ricoperto dai vini di altri territori, in California, in Spagna o in altri Paesi Europei. Il gatto si morde la coda: i vini francesi, infatti, sono anche in termini finanziari molto liquidi, cioè hanno mercato; sono quelli più scambiati nelle aste, i luoghi deputati per la compravendita “vintage” (cioè una produzione d’annata). E’ una casa d’aste virtuale per mercanti di vino il London International Vintners Exchange (Liv-ex). La piattaforma, oltre a consentire gli scambi, offre informazioni, servizi di valutazione, trasporto e stoccaggio per operatori professionisti e collezionisti. Il Liv-ex 100 è un indice creato nel 1999, che ha come sottostanti100 vini di pregiati, selezionati da un gruppo di esperti, e che hanno un mercato regolare. La scarsità della produzione è un elemento che serve a ponderare i prezzi. Il Liv-ex 100, diventato un benchmark per il settore, è sbilanciato sulle produzioni francesi: i Bordeaux rossi pesano oltre il 92% nel paniere (1,11% quelli bianchi); gli Champagne il 3,64%, i Borgogna 11,34%; i vini italiani nel complesso lo 0,64%. Tra i nomi più conosciuti presenti nell’indicatore troviamo Margaux, Petrus, Krug, Ornellaia, Ausone, Dom Perignon, ognuno con esemplari di diverse annate, dal 1986 al 2004. La performance del Liv-ex è alta, anche in termini relativi: dal lancio (nel luglio 2001) è del 176,6% (16,20 annualizzato), quasi tutta realizzata negli ultimi tre anni, in cui l’indice è salito del 159 percento. Il requisito di attività alternativa a quelle finanziarie tradizionali non è trascurabile, se si pensa che dal 2006 la quotazione del Liv-ex è cresciuta del 95 per cento (contro il 0,4% delle Borse mondiali). Rispetto ad altri asset reali, l’investimento in vini è meno volatile, ed è sostenuto dalla domanda crescente di Russia, India, Cina e Korea, che spingono i prezzi di una produzione di per sé limitata. L’eliminazione delle tasse d’importazione in Hong Kong e in altri Paesi asiatici, e la sete di liquidità di collezionisti americani, è uno dei motivi della lievitazione del mercato. Per contro, le valutazioni sono suscettibili di cali improvvisi, anche se nel settore c’è meno opacità che in passato: a causa di eventi incontrollabili (alcuni assicurabili) come frodi e deterioramenti, o di fattori esogeni (nel 1998, per esempio, i prezzi crollarono del 20% in seguito alla crisi finanziaria asiatica).

Per tutti questi motivi, il wine è un affare intrigante, apparentemente di facile approccio, ma non per semplici intenditori. Richiede professiona1ità ed esperienza, forse più che altri tipi di investimento. Le iniziative a disposizione degli investitori privati e qualificati contano pochi fondi con una cantina ben selezionata. Tra questi, The Vintage Wine Fund, lanciato nel 2003 da Owc A.M., domiciliato nelle isole Cayman, che ha reso 1’80% dalla partenza, ma ha perso il 2,4% da gennaio. La quota minima di sottoscrizione è di 250mila euro; il Wine Investment Fund, inglese, gestito da Peter Lunzer (Mazars Corporate Finance Ltd): raccoglie sottoscrizioni periodiche, ha una soglia di accesso di 10mila sterline e dichiara un rendimento medio mensile superiore al 2%; The Fine Wine Fund, inglese (Wine A.M.), cresciuto del 45% dal lancio nel 2006, che richiede un impegno minimo di 50mila sterline; il Nobles Crus, un fondo lussemburghese di Elite Advisers gestito da Christian Roger, partito nel gennaio scorso, con una performance del 10,9% all’attivo. Nobles Cru è un fondo aperto, con un investimento minimo pari a l25mila euro. Vi sono, poi, fondi che operano a monte della catena del valore e comprano, anziché il prodotto finito, i vigneti. Sono Reits americani (società immobiliari), focalizzati soprattutto sui terreni californiani (The Vintage Wine Trust). I certificati e i contratti future, invece, hanno una diffusione limitata. L’acquisto en primeur, cioè di vini non ancora sul mercato, non presenta problemi di gestione (non si acquisisce la materialità del prodotto), ma riguarda più che altro gli addetti ai lavori e, in genere, offre margini inferiori rispetto a quelli delle bottiglie d’annata.

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