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Il Sole 24 Ore

Sul Doha round rottura sfiorata ... Il vertice della Wto a Ginevra. Trattative a oltranza: sui punti chiave dell’accordo le posizioni restano distanti. India più intransigente - Parigi: “Senza modifiche non firmeremo”... Il negoziato per la liberalizzazione del commercio internazionale del Doha round si è assicurato ieri a tarda ora almeno altre ventiquattro ore di vita, dopo esser stato, per l’ennesima volta nei sette anni dal suo avvio, sull’orlo del collasso. Per ora, le parti sembrano aver concordato solo di continuare a trattare, stamane fra le sette potenze, nel pomeriggio fra tutti e trenta i ministri convocati a Ginevra dal direttore generale dellaWto, Pascal Lamy.
Ma anche all’uscita della sessione di ieri sera, i protagonisti non erano d’accordo sull’esito dei colloqui. “Abbiamo fatto piccoli passi avanti su diversi punti”, ha detto il ministro indiano Kamal Nath. Nessun progresso, secondo il commissario europeo Peter Mandelson. Oggi sarà la giornata decisiva, secondo il ministro brasiliano Celso Amorim, ma è un’espressione sentita mille volte dal 2001. “Finché si tratta, c’è speranza”, osservava uno dei diplomatici coinvolti fin dall’inizio nel negoziato.
Nath, che mercoledì al suo arrivo da New Delhi aveva dato qualche segno di apertura, si è mostrato nella discussione notturna di mercoledì e ieri il più irriducibile, tanto da indurre il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, a telefonare al primo ministro indiano Manmohan Singh e la Casa Bianca a diffondere un comunicato per precisare che i due leader sono d’accordo sull’importanza di trovare un accordo entro fine anno. La giornata aveva visto un altro intervento politico assai meno incoraggiante. “Se il testo non viene modificato, non lo firmeremo”, ha detto il presidente francese Nicolas Sarkozy. Nell’abituale contro-canto fra l’Eliseo e il negoziatore europeo Mandelson, questi aveva replicato che “un accordo è più vicino che mai, ma gli ultimi passi sono i più formidabili”.
E proprio per concordare le modifiche alle bozze di discussione presentate nelle scorse settimane e cercare di chiudere una trattativa, che altrimenti rischia di essere bloccata a tempo indeterminato dalle presidenziali americane e dal cambio della Commissione europea, che Lamy ha convocato la riunione. Ieri sera l’azzardo era apparso sul punto di rivelarsi perdente:
in mattinata lo stesso Lamy aveva ammesso che su alcuni dei nove punti chiave, sei sull’agricoltura e tre sui prodotti industriali, “le posizioni restano molto di stanti”. Inoltre, la scelta di restringere il dialogo sui punti principali alle sette potenze (Usa, Ue, Giappone, Brasile, India,Australia e Cina) ha provocato le proteste degli altri.
Intanto, su iniziativa italiana, 12 Paesi europei hanno inviato una lettera ai negoziatori Ue, Mandelson e il commissario all’Agricoltura, Marianne Fisher Boel, per ribadire che la difesa delle indicazioni geografiche è “irrinunciabile” e per contrastare l’opposizione Usa. Le indicazioni, ricorda la lettera, sono sostenute da oltre cento Paesi.
Sui prodotti industriali, nell’eventualità di un accordo sulla riduzione dei dazi, i vantaggi maggiori per l’Italia verrebbero dall’apertura dei mercati dei Paesi ricchi extra-Ue, ai quali va il 25% dell’export. Secondo una simulazione del ministero dello Sviluppo economico, con un coefficiente di riduzione tariffaria dell’8% (al centro della forchetta in discussione), le nostre esportazioni potrebbero aumentare di 200 milioni di euro l’anno negli Usa, di 78 in Giappone, 44 in Australia. Ma ci sarebbero anche vantaggi, ha detto il sottosegretario Adolfo Urso, dall’abbattimento delle barriere non tariffarie, che colpiscono soprattutto piccole e medie imprese.
L’Italia si avvantaggerebbe anche della riduzione dei dazi Ue su materie prime industriali, come alluminio e zinco, e agricole, come mais, grano, orzo, latte, carne bovina di alta qualità. In contro- partita, la riduzione delle tariffe Ue significherà maggior concorrenza dei Paesi extra-europei sul mercato comunitario, cui è destinato il 60% dell’export italiano.

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