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Il Sole 24 Ore

II cibo di qualità non è un’elite ... “In questa crisi globale l’agricoltura può e deve tornare ad avere un ruolo molto importante proprio mentre la finanza ha dimostrato di non aver i piedi per terra”. Carlin Petrini, presidente internazionale di Slow Food, inaugura oggi al Lingotto di Torino il Salone del Gusto e la contemporanea terza edizione di Terra Madre. Sino a lunedì il Piemonte sarà dunque al centro del dibattito mondiale sul futuro dell’alimentazione e delle comunità del cibo.

Ma ha senso un confronto sul cibo di qualità in un momento di contrazioni dei consumi e di acquisti basati solo sul prezzo?

Il cibo di qualità non deve essere elitario. Su questo concetto si aprono prospettive enormi. Perché per troppo tempo i produttori e i consumatori hanno pagato mentre altri si sono accaparrati le fette più grandi della torta. Nel frattempo lo spopolamento delle campagne non si è arrestato e questo dimostra che i contadini non guadagnano a sufficienza.

In che direzione bisogna procedere, per far sì che tutti possano permettersi alimenti di maggior qualità?

Innanzi tutto occorre intervenire sullo spostamento delle merci, accorciando la filiera e riducendo i km percorsi dai prodotti. Dunque, saranno favoriti i Paesi che hanno conservato un’agricoltura di buon livello. E poi si dovranno ridurre gli sprechi: in Italia si buttano via 4mila tonnellate al giorno di prodotti edibili. Si deve abbandonare la politica delle maggiori quantità di cibo vendute a minor prezzo, perché il risultato è un aumento dei rifiuti.

Cambiare la distribuzione, quindi, ma anche l’agricoltura deve essere modificata?

Certo, in Italia come nei Paesi del Sud del mondo. Se si accorcia la filiera, si rafforzano i mercati locali e, in questo modo, anche le superfici non estese di terra consentiranno ai contadini di vivere. Con colture specializzate e un’agricoltura di prossimità. Spesso ci dimentichiamo che persine a ridosso delle grandi città esistono enormi aree agricole. A Milano Sud 900 aziende occupano 47mila ettari, ma è evidente che le produzioni dovranno essere riviste. Non hanno senso le grandi estensioni di mais o gli allevamenti con grandi concentrazioni di bestiame.

Un modello di agricoltura che può essere applicato anche al Sud del mondo?

Sì, passando addirittura all’agricoltura urbana. Il rapporto tra campagna e città rappresenta la grande sfida di questo secolo, soprattutto ora che gli abitanti dei centri urbani hanno superato quelli delle campagne. Occorre rivalutare anche l’agricoltura di sussistenza, perché l’applicazione dei modelli intensivi nell’agricoltura africana sta portando all’espulsione di milioni di donne dal processo produttivo agricolo.

Una guerra contro la tecnologia?

Assolutamente no. A Terra Madre si discuterà anche di come far convivere saperi tradizionali e tecniche moderne. Perché se si dialoga, tutto funziona. In caso contrario aumentano i problemi per tutti.

Quali saranno le altre novità di Terra Madre?

Innanzitutto la presenza dei giovani che hanno a cuore il futuro. Migliaia di ragazzi che si andranno ad aggiungere alle migliaia di rappresentanti delle comunità del cibo di tutto il mondo: agricoltori, allevatori, pescatori, raccoglitori. E poi ricercatori, studiosi, cuochi. Ma quest’anno ci sarà ampio spazio per la musica, perché il mondo rurale non è solo economia, ma è una cultura, una civiltà. Vogliamo valorizzare gli aspetti legati alla socialità e alla sacralità del cibo.

Anche riguardo agli aspetti economici ci saranno novità?

Innanzi tutto presenteremo il marchio che contrassegnerà i Presidi. Una delle più geniali e riuscite avventure della nostra associazione. Lì abbiamo lanciati 10 anni fa e ora i Presidi italiani sono 177 e coinvolgono 1.390 produttori. Chi accetterà di sottoscrivere i nostri disciplinari potrà ottenere il marchio e il sostegno di Slow Food per la consulenza, la comunicazione e l’assistenza. I criteri da rispettare sono rigorosi, ma basati su quel buon senso che è indispensabile anche per i consumatori.

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