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Il Sole 24 Ore

L’albero del buon vino ... Fuggito dal Piemonte in Francia, Pierre diventò guardiano di cinque magnifiche querce. E una di queste... Un racconto di Benedetta Cibrario (Campiello 2008). Il racconto pubblicato qui (...), La quercia del re, è stato scritto da Benedetta Cibrario (vincitrice del Premio Campiello 2008 con Rossovermiglio, Feltrinelli) per la proclamazione del Concorso letterario Santa Margherita e Librerie Feltrinelli, dedicato a racconti sul tema del vino. La premiazione si terrà a Villa Necchi Campiglio, a Milano, martedì 18 novembre (alle 21)... Ormai erano sessant’anni che lo chiamavano Pierre; del suo nome di ragazzo s’era quasi dimenticato, Pietro Morra, di Soprana, che poi erano dodici baite, a mezza costa tra il fiume e la cima. Uno che fugge, dalle valli di Chisone e di Susa, è alla Francia che guarda, con due giorni di boschi e sentieri si arriva al di là della legge; e non si era fidato nemmeno quando gli abeti avevano preso il posto dei lanci, a indicare che aveva cambiato versante e paese. A ripensarci era stato un viaggio più che una fuga, perché, passato l’affanno della paura, si era incantato a guardare il paesaggio che mutava, un giorno dopo l’altro. La mancanza di denaro lo costringeva a fermarsi di paese in paese a fare dei lavoretti da poco: aggiustare un tetto, ricoverare le vacche, tagliare un bosco; ma aveva tempo davanti, il tempo che si ha a vent’anni, e che raddoppia quando non c’è un posto a cui tornare. Due anni, per arrivare a Colombières.
E dopo l’inverno a spalare la neve dai tetti, e la primavera a sostituire trave marcita, sarebbe ripartito, non gli avessero offerto la guardiana delle querce. Al sindaco, un tipo spiccio e rosso di pelo, Pierre andava a genio: un piemontese schivo e caparbio, lungo di gambe, senza tante fantasie. Sulle prime, tra sé e sé ne aveva riso: non è un gran lavoro badare che un bosco non bruci, in un paese dove cade tanta pioggia che nemmeno l’estate ci si toglie la giacca e se non aveva saputo fare il palo a una banda di rapinatori, c’era da augurarsi che almeno la balia a un gruppo di tronchi sapesse farla, senza darsela a gambe. Così aveva accettato; ed era salito su, a guardarsi il bosco che doveva custodire. Si saliva per un sentiero, largo abbastanza per far passare un carro: e si cominciava con un boschetto di lecci, cupi e contorti, ma già grossi di chioma. Poi, loro: cinque querce magnifiche, alte, con i tronchi compatti, quasi morbidi al tatto, dello stesso colore delle pietre di Soprana, o del pelo dei caprioli di montagna.
Le querce del re, Luigi XIV, che si era intestardito a voler navi di scafo robusto, senza nodi nel legno, per domare anche gli oceani: dalle manifatture ai commerci, dalle porcellane agli arazzi, al re non si negava alcun desiderio, e un manipolo di botanici aveva speso anni a selezionare la Quercia Perfetta Longeva, sana, diritta, resistente alle gelate e alla sete, lenta magari, ma possente, come il monarca che l’aveva voluta. Ed era lì, a Colombières, che Luigi aveva fatto piantare le sue cinquantamila querce, poi ridottea un migliaio di esemplari, i migliori; e lì accanto era nato un paese, un borgo di contadini promossi alla cura della piantagione reale. Trecento anni, decade più, decade meno, ed erano rimaste in cinque: ognuna con un intrico di rami diverso, la Bassa, la Grassa, la Lunga, la Magra, la Bella, le aveva chiamate così Pierre, per riconoscerle; e si vergognava, e non l’aveva detto a nessuno - nemmeno a Philippe, con cui divideva una bottiglia di vino buono, la sera - che gli era venuto quell’estro, di nominarle, come si fa con le vacche. Poi, da vecchio, certe timidezze se n’erano andate, insieme ai denti, e che Pierre amasse il vino e chiamasse le sue querce per nome lo sapevano tutti, e nessuno ci rideva.
La prima ad andarsene era stata la Magra, per una gelata notturna che aveva spaccato anche il cannello della fontana; poi era toccato alla Bella, un fulmine se l’era portata via, con uno schiocco secco e una spira di fumo. Quanto alla Bassa e alla Grassa, un’estate torrida le aveva viste deperire, e poi perdere le foglie prima del tempo e non ci aveva dormito la notte. Li temeva, quei segni: le piante, come gli uomini, quando arriva il loro tempo
se ne vanno, e quelle foglie stanche e ingiallite sembravano dire che quel tempo era arrivato, alla fine. Tagliandole, l’amara scoperta: quei tronchi senza nodi erano involucri vuoti, ricolmi di segatura, completamente scavati all’interno da un insetto tenace, venuto da un paese lontano a divorarsi le sue querce. Da allora passava ore a studiare la Lunga, a controllarla. Giù a Colombières lo prendevano in giro, perché lui si incurvava e la Lunga restava diritta, bella e svettante, come l’albero della goletta che non era mai diventata. Pierre adesso lo pagava lo stato, gli avevano dato una giacca di panno verde e un distintivo, e da Parigi arrivavano gli studenti a guardarsela, la Lunga A fine agosto aveva visto la prima foglia. Poi due, tre, cinque, venti. Un centinaio, in una settimana. Anche la Lunga, l’ultima, la più maestosa... Quel tronco perfetto, voluto dal più visionario dei re di Francia, sarebbe diventato un cumulo di segatura misto agli umori di un insetto invisibile. Si era sdraiato, Pierre, sotto la chioma, a guardare quella danza minuta di foglie nell’aria, si era sdraiato a pensare che presto non ci sarebbe stata più neanche una quercia a cui badare, solo segatura, e se anche quelli si riprendevano la giacca di panno e il distintivo, pazienza, ma di tutto, tra poco, cosa sarebbe rimasto? Quattro settimane. In quattro settimane aveva organizzato ogni dettaglio. Si era fatto aiutare da Philippe, che di vino sapeva tutto. Aveva spedito dieci lettere e avevano risposto, tutti: dalla Francia, dall’Italia, dalla California e dalla Spagna, dal Portogallo e dal Cile. Si erano dati appuntamento poco prima dell’alba.
La motosega era pesante e la cinghia gli mordeva la spalla. Ci vollero tre ore per buttarla giù, senza sciuparla, con delicatezza Il tronco era perfetto, ancora sano, color nocciola; senza un nodo. Le guardie forestali sene sarebbero accorte solo dopo qualche settimana: a Colombières la spia non la faceva nessuno. Probabilmente gli avrebbero tolto la giacca di panno verde e il distintivo; oppure lo avrebbero rimandato a Soprana, che chissà nel frattempo com’era diventata; o forse lo avrebbero lasciato li, in domicilio coatto, a guardare le vigne, che hanno sempre bisogno di cura.
Ma intanto la Lunga viaggiava giù per i tornanti, diretta a una segheria, e poi di lì dal miglior fabbricante di barriques del mondo, e poi, ancora errabonda, fino a nascondersi nel buio di dieci grandi cantine, ad abbracciare vini preziosi, a profumarli di vaniglia e di bosco, lei, la Lunga, voluta da un re per solcare gli oceani.

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