02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

Il Sole 24 Ore

Pochi cibi italiani in Cina … Cresce l’export - Ma Francia, Germania e Spagna fanno meglio... Olio spagnolo, pizze tedesche, formaggi danesi, gelati americani, biscotti francesi, olive greche. Ma l’Italia dov’è? Se lo chiedono i consumatori cinesi di fronte ai banconi dei supermercati sempre più affollati da prodotti alimentari tipici del made in Italy, ma battenti bandiera estera. E se lo chiedono anche gli italiani che vivono oltre la Grande Muraglia: visto che i cinesi replicano tutto e considerata la scarsa presenza industriale del Belpaese in Cina, non sarebbe il caso di investire di più sull’unica cosa al mondo che nessuno può copiarci? Ma da qui a dire che siamo assenti sul mercato cinese ce ne passa. I numeri, infatti, dicono l’esatto contrario.
Negli ultimi tre anni, le importazioni agroalimentari italiane nella Repubblica popolare sono aumentate di circa 2 volte e mezzo; alcuni prodotti, come vino e olio d’oliva, hanno registrato incrementi anche maggiori. Malgrado ciò , il food and beverage tricolore detiene ancora una quota marginale del mercato cinese (solo lo 0,3%), di cui l’Italia è il 30esimo fornitore. La Francia, giusto per fare un esempio, sviluppa un business dieci volte pi grande. “Bisogna tenere presente, però i principali esportatori di prodotti agroalimentari in Cina vendono anche quantità ingenti di commodities. Noi, al contrario, qui portiamo solo prodotti di alta qualità. Non a caso siamo al primo posto nelle importazioni cinesi di pasta e cioccolato, al secondo in quelle di olio d’oliva e acqua, e al sesto nei formaggi”, spiega Maurizio Forte, direttore dell’Ufficio Ice di Shanghai. In realtà, dunque, la penetrazione di questo prodotti italiani oltre la Grande Muraglia è in costante aumento.
Una penetrazione che appare difficile per tre motivi. Primo: fatta eccezione per Ferrero, unico gruppo italiano ad aver affrontato il mercato cinese con una strategia mirata (127 milioni di dollari di export di cioccolato italiano nel 2007 sono quasi tutti Ferrero Rocher di cui i cinesi vanno particolarmente ghiotti), gli altri sono operatori medio-piccoli. Secondo: il mercato cinese è ancora poco sofisticato, e bada pi al prezzo che alla qualità. Terzo: l’Italia, a differenza dei suoi concorrenti, in Cina non ha né catene distributive né grandi gruppi alberghieri tramite cui promuovere e vendere i suoi prodotti. La partita cinese dell’agroalimentare tricolore, quindi, è interamente riposta nelle mani della ristorazione. Ma anche questo è un punto di debolezza, poiché oggi i ristoranti italiani in Cina sono pochi; e per lo più di qualità tra il mediocre e lo scadente (può sembrare incredibile, ma in una metropoli come Pechino non è facile mangiare italiano decentemente). “Per spiccare il salto, servirebbero gli investimenti cinesi. La grande sfida futura sarà convincere i cinesi che con la ristorazione italiana di qualità si possono guadagnare soldi” aggiunge Forte. Ma bisognerà portare pazienza. La Cina, infatti, è un mercato ancora immaturo, e quindi incapace di apprezzare (e di pagare) la qualità dell’agroalimentare italiano.
“Servirà anche tanta tenacia avverte Emanuele Plata, presidente di Piazza Italia, il più grande food center italiano nel mondo, aperto a Pechino dal Crai qualche mese fa .Il mercato c’è, ma bisogna crederci. Ecco perché sarà fondamentale inventare di continuo qualcosa che attiri i cinesi, soprattutto i giovani, ad avvicinarsi al cibo e al vino italiano. Noi pensiamo di puntare su tre fattori: la curiosità, il sound of Italy, e la sicurezza alimentare”. Il modello non è tanto diverso da quello a là sperimentato in passato nei Stati Uniti e in Giappone: all’inizio, altri Paesi dotati di maggiore massa critica hanno fatto da apripista, offrendo a un pubblico incompetente cibo e vino straniero; quando il terreno è diventato fertile, sono arrivati gli italiani e hanno sbaragliato il campo. Pazienza, tenacia, e anche una buona dose di ottimismo, poiché scardinare usi e costumi alimentari dei cinesi sarà certamente più difficile di quanto non sia stato convincere americani e giapponesi a convertirsi ai piaceri culinari del made in Italy. Sotto questo profilo, il recente boom dell’olio extravergine di oliva è incoraggiante: nel 2008 le importazioni in Cina sono aumentate del 50%, portandosi a circa 15 milioni di dollari. (Se consideriamo che ancora alla fine degli anni 90 questo mercato era pressoché inesistente, si tratta di un grosso successo osserva Massimo Gargano, presidente di Unapro. Certo, gli spagnoli restano di gran lunga i primi. Ma la cosa non ci preoccupa. Perché, se noi non possiamo competere con i loro prezzi, loro per non possono competere con la nostra varietà e con la nostra qualità”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Pubblicato su