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Il Sole 24 Ore

Caro ministro, mangiare ananas fa bene all’Italia ... Stasera, cenone di Natale. Mi raccomando, niente ananas, anzi, sciopero dell’ananas, ha proclamato la settimana scorsa il ministro dell’Agricoltura, Luca Zaia. A provocare l’intimazione del ministro era stata la notizia, diffusa da Coldiretti, di un aumento del 5%, a 73 milioni di euro, dell’import di ananas nei primi dieci mesi dell’anno, e del 10% della frutta esotica (la stragrande maggioranza di questa voce è peraltro rappresentato dalle banane, che gli italiani probabilmente hanno smesso di considerare esotiche qualche decennio fa).
Personalmente, preferisco i prodotti locali, ma delle conseguenze gastronomiche del ministro Zaia si è già occupato brillantemente sull’inserto Domenica del Sole 24 Ore il gastronauta Davide Paolini. Quel che deve far riflettere sono le conseguenze economiche. Comprate italiano, è lo slogan di Zaia. Suona bene ed è di provata efficacia: nel mondo, il 90% dei prodotti alimentari viene consumato localmente. Se non che, se pronunciato contemporaneamente a “BuyBritish”, “Made in the Usa”, “Achetez français” e altri simili già utilizzati in altri Paesi, forma una cacofonia che porterebbe al blocco del commercio internazionale nel settore agroalimentare. Siamo sicuri che l’Italia abbia da guadagnarci?
Per far fronte alle difficoltà della nostra agricoltura, è meglio smettere di mangiare ananas o convincere gli stranieri a mangiare i nostri prodotti alimentari d’eccellenza? Che cosa direbbe Zaia se il suo collega tedesco invitasse i connazionali a lasciar perdere il Parmigiano Reggiano, quello americano a non comprare più prosciutto di Parma o pecorino romano, quello francese a eliminare il gorgonzola?
E’ già successo in passato, in modo spesso pretestuoso, e l’Italia ha protestato vivacemente, e giustamente.
I prodotti citati non sono scelti a caso: sono quattro fra i primi cinque nella classifica del nostro export a denominazione d’origine o indicazione geografica protetta. Il valore delle esportazioni di tutti i Dop e Igp italiani arriva a stento al miliardo di euro e solo il 20% del fatturato va sui mercati esteri. Dei primi dieci, che da soli rappresentano l’85% del paniere tutelato, solo sei (quelli già menzionati più il grana padano e l’Asiago) raggiungono i mercati extraeuropei, quelli dove la tutela non è valida, per più del 5% del proprio fatturato, secondo uno studio di Nomisma. Bene ha fatto l’Italia a battersi alla Wto per le indicazioni geografiche, ma l’impatto sarebbe comunque concentrato su poche filiere.
Resta una semplice aritmetica: per compensare l’aumento dell’import di ananas, basterebbe una crescita di meno dello 0,5% dell’export dei primi dieci Dop e Igp italiani. Il Governo ha mobilitato recentemente qualche risorsa per promuovere all’estero il made in Italy agroalimentare. Forse sarebbe meglio concentrarsi su questo.
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