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Il Sole 24 Ore

Barolo e Barbaresco sotto tutela … I nomi dei due grandi vini saranno registrati nel mondo come marchi collettivi... La decisione ha richiesto una lunga fase di riflessione. Ma, alla fine, i vignaioli piemontesi hanno scelto di seguire la procedura più saggia per tutelare le denominazioni Barolo e Barbaresco dall’abuso truffaldino. Vale a dire far registrare a livello internazionale, come marchi collettivi, i due vini che, con poco più di 15 milioni di bottiglie (11 milioni di Barolo e 4,3 di Barbaresco) sul totale di 300 milioni, valgono alla produzione 250 milioni di euro e alimentano un mercato stimato sui 700. Tanto quanto tutti gli altri vini firmati Piemonte. Il via libera al progetto è arrivato sotto Natale dal ministero delle Politiche agricole, che ha deciso di sostenere l’iniziativa con un contributo pubblico simbolico. Si parla di un centinaio di migliaia di euro che, naturalmente, non basteranno a coprire le spese necessarie all’operazione di registrazione. L’operazione decollerà la prossima settimana e interesserà una sessantina di Paesi, il costo sarà ripartito tra tutti i produttori, che saranno chiamati a contribuire ciascuno con quote proporzionali alle bottiglie commercializzate, “Non sappiamo con precisione quanto tutto questo ci costerà, certo ci permetterà di proteggere meglio i nostri vini e i nostri produttori sui mercati mondiali”, dichiara al Sole 24 Ore il direttore del Consorzio del Barolo e del Barbaresco, Claudio Salaris. Una dichiarazione che la dice lunga sulla reale capacità dell’istituto delle denominazioni di origine di salvaguardare rappresentatività e unicità dei vini.

“Il marchio collettivo tutela patrimonio e territorio”, dice il direttore generale delle Tenute Fontanafredda. Che aggiunge: “Per molto tempo abbiamo pensato che questa garanzia fosse data dalla denominazione, invece abbiamo capito che non era così”. A dare questa garanzia sarà la registrazione dei due marchi. Il che, per il presidente di Federvini, Lamberto Vallarino Gancia, “non può che fare bene al Barolo e al Barbaresco, così come ha fatto bene a tutti gli altri vini italiani (solo tre, ndr) che hanno scelto la strada della tutela collettiva”.

E’ un fatto che nonostante le molte denunce che dell’Italia contro la politica dei falsi, nel mondo continuano senza sosta a verificarsi attacchi alle icone del made in Italy. Il caso del falso Barolo messicano in circolazione con il nome “Albarolo” e con tanto di contro etichetta in cui si dice che si tratta di vino prodotto con uve Nebbiolo. Vale a dire le stesse utilizzate per il prodotto originale. Oppure quella di un produttore di mobili del Nord Europa che ha avuto la faccia tosta di chiedere laregistrazione del marchio Barolo in esclusiva per una linea dei suoi mobili.

Falsi e abusi che nel caso del Chianti classico si contano a decine in tutto il mondo, compresi diversi Paesi europei. “La qualità del prodotto purtroppo ci espone a questo rischio - commenta il direttore del relativo Consorzio di tutela, Giuseppe Liberatore - . Per fortuna che l’aver registrato il nome ci permette, in caso di contenzioso, di avere una tutela in più”. Stessa sinfonia a Montalcino, i cui produttori sono stati i primi a seguire la strada del marchio collettivo. Ciò non ha impedito a un vignaiolo italo-californiano, tale Petrone, di mettere in commercio il “Brunello di Sonoma” dall’omonima valle a Nord di San Francisco. Anche in questo caso consola il fatto che essendo il marchio italiano protetto anche in California, qualora l’autore del reato dovesse infischiarsene, il Consorzio del Brunello avrebbe dalla sua la forza di legge.

Il ritardo con cui i vignaioli di Barolo e di Barbaresco arrivano a questa importante scelta, rispetto ai loro colleghi del Chianti classico, del Nobile di Montepulciano e del Brunello, dà la misura dell’attenzione con cui si guarda al risveglio che aleggia tra i grandi rossi piemontesi. Prodotti che hanno fatto la storia dell’enologia italiana e che, dopo una fase di appannamento rispetto a proposte di competitori di altre aree geografiche, stanno vivendo una momento di forte riscatto in termini produttivi e commerciali.

La stessa area produttiva, le Langhe, da sempre circoscritta a 1.200 ettari per il Barolo e 500 per il Barbaresco, nell’arco degli ultimi dieci anni cresciuta di un abbondante 40-50 per cento, arrivando rispettivamente a 1.800 e a 700 ettari. Una crescita che ha fatto storcere il naso tra i produttori storici anche se, onestamente, c’è chi riconosce come le difficoltà degli anni passati sono state causate prevalentemente da una politica di prezzi senza freni. E che oggi si cerca di evitare.

Michele Chiarlo di Calamadrana dice: “Tra il 1994 e il 1998 i prezzi delle uve Nebbiolo sono aumentate del 400 per cento. Il risultato è stata l’impennata del vino imbottigliato che ha finito per mettere fuori mercato i nostri Barolo e Barbaresco. Tant’è che subito dopo la clientela estera, dove va quasi il 70% delle esportazioni, ha finito per preferire proposte alternative più competitive”. Oggi i vignaioli sono molto più accorti a evitare quegli errori. Ne è convinto Gianni Gagliardo di La Morra, in questi giorni impegnato in un tour nei Paesi del Sud Est asiatico, “dove - dice - si ha la netta sensazione che la crisi finanziaria in atto nel mondo ha fatto sparire lo spreco, ma non ha impedito ai cultori della buona cucina e del buon bere di continuare a fare scelte esclusive di prodotti di qualità con un buon prezzo. E in questo i grandi rossi del Piemonte sono ben posizionati”.

Va da sè che se è abbastanza scontato sentirsi dire da Pio Cesare che il Barolo 2004 (miglior vino italiano e sesto nel mondo per Wine Spectator nel2008) è esaurito da tempo, fa effetto in questa congiuntura negativa sentire commenti come quello del ristoratore Tonino Verro della Contea di Neive, che parla di “momento molto felice per il vino piemontese, con la clientela italiana ed estera che a tavola non si nega un buon bicchiere di vino rosso, senza penalizzare l’Arneis o il Gavi”. E fa ancora più effetto ascoltare Bruno Giacosa, titolare dell’omonima azienda viticola di Neive, quando dice di avere “negli ultimi due mesi ricevuto il 30 per cento in più di prenotazioni dall’estero sul 2007”. Un 2007 e 2008 che, a detta di tutti, sono gli anni della svolta dei due grandi rossi di Piemonte. Vini che per Giorgio Boschis della Borgogno di Barolo “fino a una decina d’ anni fa avevano una clientela di gente matura, mentre oggi l’età si è notevolmente abbassata”. Segno evidente della maggior consapevolezza dei giovani per il bere bene.

L’eccellenza nel bicchiere

Vendite per Paese in %

Il Barolo

Italia 34,7

Usa 14,4

Canada 4,3

Germania 8,6

Svizzera 8,4

Regno Unito 14,3

Altri 15,3

Produzione Bottiglie

Dati in migliaia di bottiglie

1997 / 7.361

2007 / 10.964

Il Barbaresco

Italia 47,9

Usa 25,0

Canada 2,1

Germania 4,9

Svizzera 8,5

Regno Unito 0,7

Altri 10,9

Produzione Bottiglie

Dati in migliaia di bottiglie

1997 / 2.736

2007 / 4.305

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