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Il Sole 24 Ore

Lo spettro del doppio prelievo ... Un esame attento della normativa in materia catastale evidenzia che l’applicazione dell’Ici agli immobili rurali profila un’ipotesi di doppia imposizione. È sufficiente fare riferimento alle regole dettate per la revisione generale degli estimi agricoli disposta dal Dm 13 dicembre 1979, sulla base delle disposizioni previste dall’articolo 96 del regolamento Regio decreto 1539/33, come modificato dalla legge 29 giugno1939, Il. 976. Secondo queste norme, la parte dominicale del reddito al quale devono riferirsi le tariffe è costituita dal prodotto vendibile lordo, depurato di tutte “le spese di amministrazione, reintegrazione delle colture, quote annuali di manutenzione e di perpetuità (ammortamento) dei fabbricati, dei manufatti e di tutte le opere di sistemazione e adattamento dei terreni”. Ne consegne che la redditività dei fabbricati rurali è già compresa in quella dei redditi dominicali dei terreni.

Pertanto, qualora fossero applicate le circolari dell’Anci - basate sulle due recenti sentenze della Corte di Cassazione 23596/2008 e15321/2008 - i fabbricati rurali sottoposti in via autonoma all’Ici di fatto verrebbero tassati due volte per la medesima imposta nello stesso anno, in violazione dei principi di ragionevolezza e dell’articolo 53 della Costituzione.
A questo si aggiunga poi la circolare del 6 febbraio 2001, n. 2037 della Direzione centrale per la fiscalità locale - Ufficio fiscalità comunale, che afferma la non imponibilità Ici dei fabbricati rurali di rendita. In particolare, la circolare precisa che “la rendita attribuita ai fabbricati rurali, assume un’autonoma rilevanza fiscale, anche ai fini Ici, solo nel caso in cui vengano a mancare i requisiti per il riconoscimento delle ruralità”. Trattandosi di un’istruzione di servizio per la gestione dell’Ici, appare difficile ipotizzare che gli enti locali la possano ignorare.

Tutto questo, quanto meno, ragionando a legislazione vigente. E senza dimenticare che il legislatore potrebbe presto intervenire per modificare il quadro legislativo, definendo in modo inequivoco i confini dell’imponibilità e dell’esenzione.

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