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Il Sole 24 Ore

Nell’era dell’omologazione il vino riscopre il territorio ... Viene da chiedersi se di fronte alla crisi economica si assista a un’evoluzione del gusto, in particolare quello riferito al vino. Per quanto riguarda la cucina non ci sono dubbi: ci sarà un ritorno al passato, non certo alla cucina delle bisnonne, ma a una nuova sobrietà. E per quanto concerne il vino che cosa potrà succedere? Si tornerà ai vini degli anni 70 oppure i vitigni internazionali barricati la faranno ancora da padroni? Una risposta verrà dal Vinitaly che si apre oggi a Verona. Ma certamente il progresso non si ferma. Già da qualche anno, quando ancora nessuno fra gli astrologi dell’economia prevedeva il crollo, nel mondo del vino erano in corso cambiamenti. Innanzitutto il consumatore aveva cominciato a rifiutare vini barricati (una battuta frequente nei ristoranti: “Non voglio vini in barrique”) preferendo rossi e bianchi che non avessero come nota fondamentale rovere, ciliegio eccetera. Specialmente in Italia è ricominciata la passione dei vini freschi, beverini, quali il bistrattato Lambrusco ma soprattutto una tendenza verso i vitigni autoctoni. Un trend indubbiamente legato al territorio e ai giacimenti gastronomici. Di pari passo anche il resto del mondo ha cominciato a dare meno attenzione ai vitigni cosiddetti internazionali (cabernet sauvignon, chardonnay, merlot, sauvignon blanc) cominciando ad apprezzare anche altri vitigni. Questa realtà si è manifestata, quasi per voler allargare le proprie conoscenze: in tempo di globalizzazione non poteva essere altrimenti. Ebbene questo fenomeno, la globalizzazione, se da un lato ha portato all’omologazione del gusto (vini al legno, o vini dei falegnami) dall’altro ha dato l’opportunità anche alle minoranze (vitigni quali Nebbiolo, Sangiovese, Sagrantino, Montepulciano d’ Abruzzo) di essere conosciute nel mondo. E chiaro che la fase di omologazione ha lasciato comunque segni profondi nel consumatore meno evoluto: non conosce altro che quei tre o quattro vitigni, prodotti con le stesse metodologie in Australia, in California, in Cile, in Argentina e pure in parte dell’Italia. Il ritorno a vini, rossi o bianchi, di profumi e sapori diversi, incontra non poche difficoltà perché l’archetipo è divenuto appunto quel vino omologato degli anni 8o-9o. C’è un però. Molti consumatori cominciano a essere stanchi dei vini tutti uguali in cui l’apporto del territorio viene annullato dalle pratiche di cantine. Ecco quindi il territorio diventare il protagonista, l’elemento in grado di fare la differenza perché unico, a differenza del vitigno che può essere replicabile. In questa direzione si stanno muovendo molte aziende vinicole anche perché in tempi di crisi è dimostrato un ritorno sentimentale del consumatore che influisce sensibilmente anche sull’evoluzione del gusto. E le radici territoriali, l’identità, il sapore, il profumo non solo per l’individuo, ma anche per un vino, sono fondamentali per la riconoscibilità. Maggior semplicità, minor complessità, identificazione e ricordo sono le carte vincenti in tempo di crisi, ovviamente legate al prezzo. E proprio per questo è iniziata una nuova stagione dove il viticoltore dovrà produrre per target, per fasce di prezzo che dovranno sempre di più essere segmentate anche e soprattutto in funzione del consumatore e non delle pagelle dei critici, soprattutto anglosassoni.

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