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Il Sole 24 Ore

Se il menu diventa pedigree ... Sono in arrivo le “pagine da mangiare”, ovverosia le carte dei
ristoranti trasformate in Bibbia: ogni pietanza dovrà disporre di un
allegato in varie lingue (c’è chi pensa anche al latino...), una vera
e propria carta d’identità dei singoli ingredienti utilizzati.
Finalmente nascerà il vero slow lunch e lo slow dinner. Si passeranno
così ore e ore prima di fare l’ordine perché oltre alla lettura delle
materie prime ci sarà da controllare la carta degli oli perduti, la
carta inutile delle acque minerali, la carta gonfia e grondante dei
vini, la carta degli aceti smarriti, la carta dei sali impossibili.
Può sembrare uno scherzo, ma non lo è. La minaccia di piatti serviti
con tanto di etichettatura è reale. Esiste infatti una proposta
legislativa europea che vuole estendere anche alla ristorazione
l’obbligo di elencare gli ingredienti pensato per i prodotti
alimentari preconfezionati. La normativa deve tuttora passare al
vaglio dell’Europarlamento e del Consiglio dell’ Unione europea , ma
non ci sarà da stupirsi se qualche neo eletto al parlamento europeo,
giusto per farsi notare nel grigiore delle proposte di Strasburgo,
proponga di aggiungere anche la tabella delle calorie.
Va premesso che la tracciabilità dei prodotti è una cosa molto seria,
necessaria, visto gli scandali che spesso i Nas scoprono. Eppure porre
sullo stesso piano piatti preconfezionati e pietanze espresse di una
cucina che è legata alle tradizioni di materie fresche mi pare davvero
un’esagerazione.
Il controllo è giusto che ci sia nelle cambuse dei ristoranti (in cui
spesso gli stessi Nas colpiscono duro); il patron e il cuoco devono
garantire la trasparenza degli ingredienti che utilizzano attraverso
il controllo della tracciabilità, ma non è pensabile che siano
costretti a compilare una schedatura su ogni piatto. Potrebbe essere
ragionevole proporre ai locali di far conoscere tutti i prodotti che
vengono usati in cucina con l’elenco dei fornitori, da abbinare al
menu o da affiggere, così da permettere al cliente “allergico o
intollerante” di chiedere in quale piatto viene usato l’ingrediente a
lui ostile.
È chiaro che su questo possibile provvedimento ci sarà qualche lingua
velenosa che vorrà fare riferimento agli additivi chimici, di cui
tanto si è discusso negli ultimi mesi, ma è davvero pretestuoso fare
riferimento a ciò in assenza dei risultati dei Nas, dopo la loro
indagine su un numero importante di locali. Anch’io come tanti ho
cenato più volte da Massimo Bottura o da Ferran Adrià senza essere
stato avvelenato. Sono stato messo al corrente del l’uso lecito della
lecitina, dell’agar agar o di altri prodotti di questo tipo senza
ricorso all’etichettatura. Non sarà certo questo provvedimento a
prevenire le adulterazioni, le sofisticazioni, l’uso di sostanze non
lecite perché sarà sufficiente non scriverle nell’“etichetta”. Sarà
sempre la trasparenza e la correttezza del ristoratore a non provocare
danni alla salute. Sine qua non.

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