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Il Sole 24 Ore

Vendemmia di qualità mai prezzi crollano ... Per gli enologi la vendemmia si annuncia con una produzione stabile (46,3 milioni di ettolitri divino) e una buona qualità. In forte calo i prezzi: alcune uve accusano ribassi annui anche del 50 per cento ...

... La crisi del vino abbatte i prezzi delle uve (-50%) ... Ma i vignaioli sono soddisfatti del livello qualitativo... Produzione a 46,3 milioni di ettolitri - Sorpasso della Francia... La vendemmia 2009 ha uve sane, belle e un concentrato di aromi di eccezionale spessore, con le cisterne che segnano il pieno a 46,3 milioni di ettolitri di vino. La stima di Assoenologi conferma il tetto della produzione 2008, mentre scende di qualche gradino rispetto alla media di 48,4 milioni degli anni tra il 2004 e il 2008. In linea con queste indicazioni anche i valori provenienti dalle fonti agricole, con Coldiretti che valuta la produzione francese prossima a 48 milioni di ettolitri. Il che segnerebbe il risorpasso della Francia sull’Italia. Ma è ancora da Assoenologi che arriva l’indicazione di un’Italia segmentata longitudinalmente, con le regioni a ovest dell’asse appenninico che denunciano aumenti produttivi tra il 5 e il 10 per cento e quelle a Est con indicatori altrettanto omogenei tra loro, ma con segno negativo. Un paese diviso in due, quindi, laddove Veneto e Sicilia sono le sole regioni a fermare l’asticella sui precedenti valori, nonché confermare le rispettive posizioni di leader e quarto player in classifica generale. Ma con un vistoso calo dei listini che prende trasversalmente tutte le aree geografiche e colpisce tutti i tipi di uva. Ribassi che nelle considerazioni del direttore generale di Assoenologi Giuseppe Martelli si fermano mediamente intorno al 10%, e che altre fonti consultate dal Sole 24 Ore ritengono ben più marcati. Addirittura si arriva in alcuni casi a ribassi del 40 e persino del 50 per cento sui prezzi del 2008. Resta comunque la consolazione che la qualità è premiante, almeno così è per quelle uve già vendemmiate: è il caso della Franciacorta, con quasi tutti i protagonisti (da Bellavista a Berlucchi, da Ca’del Bosco a Mosnel) che descrivono un raccolto al top degli ultimi dieci anni. Soddisfazione che si legge nelle parole di Agostino Adragna dell’azienda siciliana Fondo Antico, quando dice che “in un momento di difficoltà come questo la cosa più saggia da fare è non strafare. Nel senso che è meglio concentrare il proprio impegno nell’elevare il livello qualitativo dei propri vini, mantenendo sotto controllo i costi della gestione”. Un approccio che Giancarlo Moretti Polegato di Villa Sandi, tra i maggiori produttori ed esportatori di Prosecco, condivide in pieno.L’imprenditore trevigiano però mette in risalto un altro aspetto della questione, ovvero “la marcia in più della Docg” che quest’anno premia il Prosecco forse più di altri vini blasonati. “In effetti la Docg - dice Moretti Polegato - unitamente a una politica di prezzi moderati sta dando nuova linfa al nostro spumante in Italia e all’estero”. Dunque, è la vendemmia della verità. Quella, cioè, che tutti aspettavano per sapere non tanto se la produzione di uva sarebbe aumentata o diminuita, ma se sarebbe stata quella giusta in grado di ridare nuova linfa a un settore di per sé attivo. Che per da tempo sconta condizionamenti socio-economici sfavorevoli. Per non parlare della messe di norme contenute nella riforma Ocm, varata di recente dall’Unione europea, che in Italia resta ancora un corpo estraneo difficile da digerire, per la semplice ragione che pochi sono al corrente di quelle nuove regole. E quelle poche che si conoscono spiazzano gli addetti ai lavori. È il caso di Marco Caprai, vignaiolo in quel di Montefalco, che se da un lato si dice molto soddisfatto per l’andamento della vendemmia, non può dire la stessa cosa per quanto riguarda l’approccio prevalente all’uso dei fondi pubblici destinati alla promozione. “È incredibile come il sistema - diceCaprai - di frontea una crisi di mercato non riesca a trovare unitarietà e fare squadra. Invece assistiamo a un proliferare di iniziative regionali microscopiche che, va da sé, sono destinate a sicuro insuccesso”. Tutto questo mentre dal fronte export giungono voci tutt’altro che esaltanti. È di ieri la denuncia dell’Italian wine and food istitute di NewYork che registra la crescente divaricazione della forbice tra l’aumento del 22% del vino importato dagli Usa nei primi sei mesi dell’anno e il calo dell’8% dell’export dei vini made in Italy. Un andamento forsennato che ha preso un po’ alla sprovvista i produttori europei e che invece premia con percentuali a due cifre l’offerta più a buon mercato di tutti i paesi dell’emisfero sud, Australia in testa.

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