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Il Sole 24 Ore

Dopo la “dieta” il made in Italy vede meno nero ... Fieragricola. A Verona si verificano i primi segnali di ripresa... Costi in aumento e prezzi in forte calo: nel 2009 hanno chiuso 30mila aziende... Per l’agricoltura italiana il 2009 è stato “un anno da dimenticare”. Un anno in cui il settore ha assistito inerme a “prezzi e redditi delle imprese in picchiata”, come non era accaduto prima, e tali da spingere il settore nell’angolo. A “un passo dal baratro”. Bisogna essere degli inguaribili ottimisti per non sminuire o aggirare ciò che gli autori di questi gravi commenti, vale a dire i responsabili delle principali organizzazioni agricole italiane (Cia, Coldiretti, Confagricoltura), hanno in più occasioni sottolineato in queste ultime settimane. Parlando di un’agricoltura che subisce gli eventi, senza poter reagire, stante la condizione prefallimentare che la opprime.
È in questo cupo clima di difficoltà che si apre giovedì la Fieragricola di Verona, la più antica rassegna del settore e una delle più importanti a livello internazionale. In una delle congiunture più critiche della sua storia secolare, Verona cercherà di affermare e aprire quei timidi spiragli di ripresa che solo negli ultimi mesi cominciano a vedersi.

Nel 2009 si è assistito a una vera e propria moria di imprese agricole: 30mila hanno chiuso, secondo i dati diffusi dalla Cia e confermati dal ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia.
Negli ultimi dodici mesi i costi di produzione sono aumentati tra l’8 e il 9%, a fronte di tagli a due cifre nei prezzi delle materie prime. Con conseguente riverbero sul reddito delle imprese, quantificato in oltre 25 punti percentuali e, quindi, anche sul valore aggiunto. Con Coldiretti che stima la pèrdita del solo 2009 in 1,5 miliardi di euro, mentre Confagricoltura spinge tale perdita a oltre 2 miliardi spalmati su un arco di tempo di cinque anni e con una variazione totale del -6,4 per cento. Il che la dice lunga di quanto abbia davvero pesato la crisi del solo anno 2009 sul comparto primario italiano.

Certo, la crisi ha colpito un po’ tutti i settori produttivi, anche se a pagare il pegno più gravoso è stata l’area delle coltivazioni agricole (-5,5%), mentre gli allevamenti sono riusciti a contenere tale flessione al -1,1 per cento. Tra i singoli comparti vegetali, la contrazione più consistente ha interessato la produzione cerealicola (-21%), con il frumento duro a -39%, mentre il tenero si è fermato a una variazione del -15 per cento. In leggera flessione anche il comparto orticolo, mentre per le produzioni di frutta si parla di miglioramento, sia pure modesto. In controtendenza, invece le colture oleaginose, con le produzioni di soia e girasole che si sono mosse in recupero del 4,8%, mentre la barbabietola da zucchero s’è dovuta ripetere con un segno negativo. Quanto alla filiera animale, la contrazione complessiva dell’1,1% è la media tra due segni meno, con i capi bovini, bufalini e suini che arretrano mediamente dello 0,6%, mentre il comparto avicolo è calato dell’1,6 per cento.

Tutto nero, dunque? Non proprio. Per quanto difficile e problematica sia stata la situazione generale dell’economia, cui l’agricoltura non solo non ha potuto sottrarsi ma ne ha pagato le maggiori pressioni, resta il fatto che una luce in fondo al tunnel si è pure vista: quella del miglioramento dell’interscambio commerciale nel mese di dicembre. Una luce in fondo al tunnel che ha interessato tutto l’export made in Italy, con le voci dell’agroalimentare che solo a dicembre hanno performato in modo sorprendete: +5,8% l’alimentare e +24% l’area agricola.

Certo, “una rondine non fa primavera”, ma è pur vero che “il buon giorno si vede dal mattino”, e i segnali che si riescono già a captare in questo primo scorcio d’anno, si direbbe che il 2010 potrebbe essere l’anno buono per rimettere il vestito a nuovo. Solo che bisogna crederci. E per crederci bisogna essere davvero ottimisti. Che non significa scambiare per passeri i corvi, ma semplicemente non abbandonare il campo solo perché i corvi volteggiano.
Ci vuole quello che il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia chiama “fiducia”. Fiducia nelle imprese italiane che fanno prodotti tipici e unici che hanno il favore dei consumatori di tutto il mondo; fiducia nella capacità degli imprenditori di reagire alla crisi. Che, come tutte le crisi, sfianca ma “offre anche delle opportunità. Solo che bisogna organizzarsi meglio in modo da saperle cogliere e svilupparle al meglio”.

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