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Il Sole 24 Ore

L’atmosfera unica di una fiera dove l’orologio è inutile ... Potrei raccontarvi del grande Nils, nel senso di Liedholm, che ricordava con aria vagamente annoiata le sue prodezze, i suoi scudetti, persino la finale mondiale persa col Brasile ma si illuminava parlando del suo Rosso di Boemia e di quant’era (ed è) bravo Carlino a mandare avanti l’azienda di Cuccaro. Di Giacomo Bologna, appena raggiunto lassù dalla sua Anna, che tradì le origini juventine e sivoriane, perché folgorato sulla via di Rivera. Potrei raccontarvi di Gianni Brera, che una sera nel miglior ristorante del Lussemburgo mandò indietro le prime quattro bottiglie perché non erano a posto, sotto i miei occhi imbarazzati e quelli sconvolti del sommelier. O di Osvaldo Bagnoli, che tutti gli anni fa visita al nostro stand di Radio 24 e le prime volte se la tirava quasi da astemio: adesso, sfilate le cuffie, si va per Amaroni, e chissà quest’anno che c’è da celebrare il quarto di secolo dello scudetto del Verona. Vi sussurro invece, sommessamente, il mio acronimo dei giorni di Vinitaly. AMO. Dove A sta per atmosfera, M per mani, O per orologio. L’atmosfera, l’umore, lo stato d’animo è l’opposto di quel che si respira in una qualsiasi altra fiera. Un’allegria palpabile, la voglia di scoprire che è quasi sempre riscoprire, la gioia di esserci e di non volersene andare. Nella totalità delle altre rassegne, da noi come nel mondo, l’altoparlante che preannuncia la chiusura coglie stand già deserti, fuggiaschi che non vedevano l’ora. Qui sono salutati, anzi ignorati, da altri tappi che saltano, bicchieri che tornano a riempirsi, voglia di continuare a stare insieme. Vinitaly sta a una fiera come il piacere sta al dovere. Le mani. Sono quelle dei vignaioli, dei contadini, della brava gente di campagna che il vino materialmente lo fa. Sbucano da polsini spesso inamidati, tormentano e si capisce che vorrebbero allentare il nodo di una cravatta perfettamente sintonizzata a un abito d’autore. Ma più che mani sembrano badili, enormi, nodose, callose. Mi viene in mente Domenico Clerico, uno dei barolo-boys, che le mulina con eleganza riempiendo cristalli d’autore, con la stessa naturalezza con cui le ha usate per potare, legare, vendemmiare, far ripartire un trattore che faceva i capricci. L’orologio, infine. Non serve. E non per colpa sua. Per quanti appuntamenti tu abbia, per quante aziende ti sia prefissato di visitare, sono tali e tante le variabili piacevolmente impazzite, tra assaggi che si prolungano e incontri inattesi, che a fine giornata sarai arrivato sì e no alla metà. Bentornati a Vinitaly.

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