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Il Sole 24 Ore

Italia sconfitta sul cioccolato … Bocciata dalla Corte di giustizia Ue la denominazione “puro” adottata per i prodotti con burro di cacao … Per i giudici è sufficiente l’indicazione dell’assenza di grassi vegetali sostitutivi … Il “cioccolato puro” è morto in Europa dieci anni fa quando, al termine di un poderoso braccio di ferro tra lobby e mastodontici interessi economico-commerciali, si ritrovò equiparato a quello “impuro”, quello che invece del solo burro di cacao contiene fino a un massimo de15% di grassi vegetali alternativi. Fino ad allora, il cioccolato di serie B era prodotto e venduto solo nei paesi nordici dell’Unione tanto che, quando vi entrarono, chiesero e ottennero una deroga per poter continuare a smerciarlo sul proprio mercato. Visto che nel resto d’Europa, Italia compresa, era vietato. Con un ribaltone clamoroso, nel 2000 l’eccezione divenne regola comunitaria e per di più obbligatoria, tra l’altro con l’assenso dell’allora Governo italiano. Che poi però decise di smarcarsi dalla nuova normativa Ue che pure aveva approvato, autorizzando a livello nazionale la denominazione “cioccolato puro” da apporre sull’etichetta di quello prodotto alla vecchia maniera tradizionale. Per distinguerlo dall’altro. La Commissione europea contestò quasi subito l’iniziativa ma, non riuscendo a convincere il governo a scendere a più miti consigli, l’anno scorso ha deciso di deferirlo davanti alla Corte di giustizia europea. Che ieri ha reso la sua sentenza condannando l’Italia per violazione del diritto comunitario. Secondo i giudici di Lussemburgo per garantire una corretta informazione dei consumatori è sufficiente indicare nell’etichetta l’assenza di grassi sostitutivi. Esattamente come stabilito dalla direttiva Ue. La legislazione italiana prevede invece la possibilità che la dicitura “cioccolato puro” sia aggiunta o integrata nelle denominazioni di vendita o sia indicata in altra parte dell’etichettatura dei prodotti che non contengono grassi vegetali sostitutivi. Non solo, commina ammende da 3.000 a 8.000 euro in caso di violazione. La Corte ritiene che l’armonizzazione completa delle denominazioni (obbligatorie) di vendita dei prodotti di cacao e cioccolato miri a garantire l’unicità del mercato interno. Tra le denominazioni non è prevista quella di “cioccolato puro” e nemmeno la possibilità per il legislatore nazionale di introdurla. Di più. La doppia denominazione all’italiana può indurre il consumatore in confusione in assenza di “un’informazione corretta, imparziale e obiettiva”. Tanto più che l’aggiunta di grassi sostitutivi del burro di cacao nel cioccolato, nei limiti previsti dalla normativa Ue, “non può produrre l’effetto di modificarne la natura al punto da trasformarlo in prodotto diverso che ne giustifichi una diversa denominazione”. Insomma, comunque la si guardi, la legislazione italiana viola il diritto europeo. Conclusione: a questo punto la parola passa a Roma che dovrà modificare “senza indugio” la propria legislazione per allinearla a quella comunitaria. Qualora non lo facesse e in tempi ragionevolmente brevi, la Commissione potrà adire di nuovo la Corte chiedendo l’applicazione all’Italia di sanzioni pecuniarie. Critico il ministro delle politiche agricole Galan: “Decisione corretta - spiega - ma ora serve coerenza, da tempo l’Italia chiede in generale trasparenza sulle etichette”.

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