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Il Sole 24 Ore

Tradizione vincente se rinnovata ... I casi di eccellenza. Agroalimentare alla riscossa... È la tradizione, miscelata a qualità e serietà, a premiare le poche aziende sarde che, pur in mezzo a cento malanni, continuano a reggersi sul mercato e a tenere invariata l’occupazione. Spiccano, soprattutto, le aziende agroalimentari che, con l’eccellenza certificata dell’ambiente Sardegna, piazzano i loro prodotti anche Oltralpe e Oltreoceano. Con fatturati invariati, ma anche in crescita.
Emerge fra tutte la cooperativa 3A di Arborea (fra le prime dieci agroalimentari in Italia). Raggruppa 263 aziende soprattutto nell’Oristanese e lavora 194 milioni di litri di latte all’anno.
“Garantiamo ai soci una remunerazione a litro/latte del 18% superiore alla media nazionale, la produzione del 2010 salita del 34 sull’anno precedente e il fatturato è balzato a 129,6 milioni di euro”, dice il direttore generale, Francesco Casula. Che - oltre alle certificate 132 referenze negli scaffali dei supermercati - annuncia il lancio di un Gran Classico vaccino-ovino “per il quale abbiamo richieste in crescendo da tutt’Italia”. Mercato nazionale (oltre alla Sardegna anche Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) e Libia (6oo mila euro di prodotti lattiero caseari).
Regge e cresce un’azienda privata storica, la Fratelli Pinna di Thiesi, i primi (anno 1929, quello della Grande Depressione) a tentare e poi rafforzare l’export negli Stati Uniti e in Canada. Leader nei formaggi ovini, conosciuti per il Brigante (oggi proposto anche in fette porzionate) hanno creato un’azienda anche in Romania, a Timisoara e continuano a confezionare prodotti di nicchia. “Nuovi modelli di packaging e riscoperta di antiche ricette consentono di bilanciare il tracollo del prezzo del pecorino romano”, dice il responsabile finanziario del gruppo, Giomaria Pinna.
Caseifici che ormai viaggiano tutti sull’alta qualità Anche per prodotti poveri, come il “Cas’age
du” (formaggio acidulo, più consistente del tradizionale yogurth, ottimo per la regolazione intestinale, soprattutto quando è a base di latte di capra). “Siamo passati da 1.300 quintali del 2005 ai 2.950 quintali del 2010”, dice Davide Chiai che con i fratelli manda avanti l’azienda di famiglia creata dal padre Luciano, a Barisardo in Ogliastra. “Con l’uso sapiente di tecnologie e il rispetto della shelf-life vendiamo in tutto il Centro e il Nord d’Italia. Il prodotto piace e ci consente di lavorare bene. Diversamente di che cosa vivremmo?”. A Donori, alle porte di Cagliari, gli Aresu hanno creato una sorta di crescenza a base di latte di pecora. “Siamo subissati di richieste, soprattutto dalla Toscana”, dicono all’ufficio commerciale. Girano bene anche salumifici. La società leader, la Murru di Irgoli (tra Nuoro e Olbia) lavora 2.700 quintali di carni suine all’anno e - annuncia Rosaria Murru, direttrice marketing - “a giugno immetteremo nel mercato e in tutta la grande distribuzione salumi biologici sempre più certificati Sardegna”. Continua a imporsi le fattorie del Gennargentu di Fonni con Daniela Falco e il marito Massimiliano Meloni che vendono salumi e formaggi rigorosamente confezionati con prodotti locali. Competono bene i salumifici Monte Linas di Villacidro e gli altri mini impianti sparsi un po’ in tutta l’isola.
Le cantine - private e sociali - sono rimaste immuni dalla crisi che ha coinvolto il settore in campo nazionale. Tra i privati spiccano gli Argiolas di Serdiana che con i celebri rossi che produce (Turriga, Korem, Iselis, Is Solinas)e i rinomati bianchi (Is Argiolas, Costamolino, S’Elegas) si sono imposti nei mercati internazionali, States, Cina e Giappone compresi. Idem per la Sella&Mosca di Alghero, Sa Mesa di Sant’Anna Arresi, Capichera di Arzachena e per gli stabilimenti cooperativi di Tempio, Monti, Tortolì, Santa Maria La Palma, Oliena, Senorbì, Dorgalie Dolianova che continuano tradizioni talora gloriose. Ed è il sapere manuale a garantire il lavoro e a far circolare qualche euro nei piccoli paesi dell’interno con l’artigianato tessile, tappeti e arazzi in primo luogo: Ulassai, Mogoro, Samugheo sono “paesi vivi”, perché “sono paesi del fare”. In nome e per conto della tradizione Sardegna.

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