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Il Sole 24 Ore

La Via Emilia riparte con i Bric … Distretti. L’export dell’area vale 42 miliardi e cresce a doppia cifra - Verso i paesi emergenti con Sud Africa e Turchia il 10% del totale … La recessione ha innescato una metamorfosi positiva del modello d’impresa ... Più internazionalizzata e più solida dal punto di vista patrimoniale. Sfoltita dai processi di selezione innescati dalla crisi del 2009 ma di nuovo in ripresa, anche se a un ritmo più lento rispetto al vicino Veneto, e un po’ più poliglotta. È la “Via Emilia” che riparte e si guarda allo specchio, dopo due anni di apnea e con la paura di ritrovarsi al punto di partenza dopo la tempesta dell’estate 2011. All’incertezza di oggi si aggiungono questioni vecchie, come il prelievo fiscale troppo sbilanciato sulle Pmi, quelle a più alta intensità di manodopera perché a maggiore valore aggiunto. Può vantare produzioni di qualità tagliate su misura per il cliente (tailor made) nei settori indicati col “rating 4A” da Marco Fortis (abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione-meccanica, alimentare-vini) e considerati punti di forza del Quarto capitalismo in cui si è evoluto il sistema imprenditoriale del Nord Est, Emilia compresa. Settori che però espongono il fianco ad un meccanismo tributario penalizzante per il fattore lavoro. Sulle mutazioni del modello imprenditoriale emiliano ha acceso da tempo i riflettori la Cattedra Jean Monnet in economia industriale dell’università di Parma di cui è titolare Franco Mosconi, con un progetto di ricerca sponsorizzato dalla Fondazione Cariparma che si concluderà in autunno. “Se devo indicare due segni della “metamorfosi del modello emiliano” - spiega Mosconi anticipando alcune conclusioni dello studio che ha coinvolto esperti di banche, università e centri di ricerca - a livello macro il fatto più rilevante è che le esportazioni delle imprese emiliano-romagnole verso i “Bric” (Brasile, Russia, India e Cina) più Sud Africa e Turchia hanno superato nel 2010 il 10% dell’export totale. Sono le “nuove vie della seta” sulle quali bisogna proseguire”. Nel primo trimestre in molti distretti (si veda grafico in pagina) la crescita delle esportazioni è stata a doppia cifra, in qualche caso sopra il 50 per cento. Nel 2010 le vendite all’estero sono aumentate del 10,7% a 42,3 miliardi, il 2011 si è aperto con un +19,2% nel primo trimestre e secondo Unioncamere Emilia Romagna sul commercio estero si fondano le migliori aspettative per i prossimi due anni, pur nel clima di prudente incertezza delle ultime settimane. “A livello micro - aggiunge Mosconi - la trasformazione si vede negli ingenti investimenti in R&S, tecnologia e capitale umano di qualità. Per restare qui a Parma, Chiesi farmaceutici e Dallara Automobili sono due “primi della classe” da cui prendere esempio” (vedi articolo in basso). Dall’ultima indagine congiunturale di Unioncamere viene fuori che sono soprattutto le imprese più strutturate a beneficiare della crescita dell’export, portandosi dietro anche i fornitori, compresi i più piccoli. Chi non ha questo traino è in difficoltà. “In ogni caso, l’indicatore congiunturale che tiene in conto produzione, ordini e fatturato dice che siamo ancora sotto i livelli del 2008” spiegano all’ufficio studi. Un indicatore significativo è il numero delle imprese censito dal Cerved. Rispetto al 2008 ne mancano all’appello quasi 2mila. Una battuta d’arresto legata soprattutto alla crisi dell’edilizia ma che non si verificava da molti anni e che non è stata compensata dalle nuove imprese costituite nel 2010, soprattutto da parte di cittadini stranieri (cinesi, rumeni e albanesi). Sono chiusure che non fanno clamore perché riguardano spesso aziende piccolissime, la subfornitura classica, ma che lasciano il segno sull’occupazione. La prova è in quel 5,8% di disoccupazione che fa paura: molto più basso della media nazionale, ma quasi doppio rispetto al 3% di due o tre anni fa, quando l’Emilia vantava un dato tra i più bassi d’Europa. Hanno retto meglio la crisi le imprese che hanno investito di più nella struttura organizzativa e nella formazione delle risorse umane, tanto da far diventare il clima aziendale una leva competitiva al pari dell’innovazione e dell’internazionalizzazione. “Oggi sono in grado di presentarsi sui mercati esteri in modo strutturato e con una visione di lungo periodo”. Sono in particolare imprese medio-grandi, che hanno la forza di investire con continuità sui mercati esteri, soprattutto nelle aree emergenti. Un processo che ha coinvolto anche i distretti, e per questo ribattezzati “dis-larghi” dalla Fondazione Nord Est. “Ma l’Emilia è anche il laboratorio più interessante per le reti d’impresa, sempre più utilizzate per andare all’estero” sottolinea Antonio Ricciardi dell’Osservatorio nazionale distretti, che nelle reti vede enormi potenzialità. Uno dei fattori competitivi di successo, soprattutto per le medie imprese (da 50 a 499 dipendenti da 15 a 330 milioni di fatturato)è la capacità di innovare i prodotti più che i processi, come invece fa la grande impresa. “Questo crea più valore aggiunto che consente alle medie imprese di spuntare sul mercato un premio di prezzo” spiega Gabriele Barbaresco di Mediobanca R&S che, con Fulvio Coltorti, ha contribuito alla ricerca di Mosconi con uno studio sulle dinamiche evolutive del tessuto imprenditoriale nella regione. Simulando l’applicazione della fiscalità delle grandi imprese alle medie aziende emiliano-romagnole, lo studio dimostra che tra il 1999 e il 2008 quest’ultime avrebbero risparmiato 1,234 miliardi di euro, pari al 16% dei mezzi propri e al 20% degli utili del decennio. Se questi risparmi fossero stati destinati ai mezzi propri, secondo R&S le medie imprese emiliane avrebbero raggiunto una solidità patrimoniale molto vicina a quella delle concorrenti delle migliori regioni tedesche. La colpa di questo paradosso è dell’Irap che tassa il valore aggiunto su cui incide molto il costo del lavoro. “Le medie imprese sono labour intensive proprio perché puntano sull’innovazione e sulla person1izzazione del prodotto, perciò sono penalizzate rispetto alle grandi che invece hanno prodotti seriali e standardizzati e quindi costi del lavoro più bassi”. Il peso dell’Irap sul tax rate sale in modo esponenziale con l’aumentare del costo del lavoro in rapporto all’utile lordo. In Emilia arriva al 59,9% dell’intero carico fiscale per le imprese che hanno il Costo del lavoro più alto.

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