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Il Sole 24 Ore

Alla ricerca dell’eccellenza ... La produzione di vino è stimata in discesa del 13% ma la qualità dovrebbe essere elevata ... Poco prodotto e prezzi in salita, ma l’export continua a tirare. Il risveglio dall’ubriacatura dell’anno scorso, dopo il sorpasso sulla produzione francese, è piuttosto brusco. Quest’anno la produzione divino italiano calerà mediamente del 13%, a circa 41 milioni di ettolitri, con punte del 25% in Abruzzo e del 20% in Sicilia e Umbria Soprattutto a causa della siccità e delle estirpazioni, ma la qualità rimane eccellente. Lo scivolone della produzione è riconducibile soprattutto a a fattori meteorologici: la siccità ha provocato una resa di trasformazione più bassa della media in Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Sicilia; grandinate sparse hanno invece colpito alcune zone viticole della Lombardia e dell’Alto Adige.
“Gli enologi - interviene Lamberto Vallarino Gancia, presidente di Federvini, la federazione dei produttori italiani - a causa del caldo hanno scelto di vendemmiare e vinificare prima C’è meno produzione ma siamo soddisfatti della qualità. Ora i prezzi puntano verso l’alto, ma questo fa parte del nostro lavoro: c’è minore disponibilità rispetto al passato ma la situazione è a macchia di leopardo. Per esempio, c’è meno moscato, prosecco e pinot grigio. Ma le zone “protette” hanno fatto qualità: mi riferisco a Barbera e Nebbiolo”. E la maggiore qualità “può creare i presupposti- interviene Piero Antinori, presidente dell’Istituto del vino grandi marchi-per avvicinare i prezzi medi del prodotto francese”. Discorso a parte merita la Sicilia. “Questa regione - commenta Adriano Orsi, presidente del Settore vitivinicolo di Fedagri Confcooperative - ha visto il suo potenziale produttivo ridursi di un milione di ettolitri con il ricorso alle misure cli estirpazione e alla vendemmia verde (taglio dei grappoli a giugno ndr). Questa politica europea è miope: non Si possono spendere i soldi dell’Unione per distruggere, ma dobbiamo sostenere la produzione”.
Bruxelles però ragiona con l’obiettivo di equilibrare domanda e offerta. “Nella pratica - aggiunge Orsi - non è così. E ora la Commissione che ha proposto ad altre regioni di avviare la vendemmia verde, che rappresenta l’anticamera dell’abbandono. Inoltre ci espone alla concorrenza: ci vuole un attimo per sostituire il vino italiano”. Senza contare che il calo quantitativo della vendemmia espone il settore a fenomeni di contraffazione, soprattutto all’estero dove la domanda di vino italiano è in continua crescita. Sempre sul tema della conservazione del potenziale produttivo e contro la liberalizzazione dei diritti di impianto caldeggiata da Bruxelles, Confagricoltura sostiene la necessità di mantenere i diritti oltre il 2015 per tutti i tipi di vino. La Commissione europea ritiene che liberalizzare gli impianti possa rendere il sistema vitivinicolo più competitivo a livello internazionale “in realtà - sottolinea Mario guidi, presidente di Confagricoltura - le conseguenze della liberalizzazione indicano una direzione opposta: aumento delle superfici, ingovernabilità
dell’offerta a denominazione di origine, sovrapproduzione, delocalizzazione, perdita dei valori patrimoniali dei vigneti, passaggio da una viticoltura di tipo familiare a una intensiva industriale”. E recentemente sono arrivati a 12 i Paesi che hanno sottoscritto una posizione comune a favore del sistema dei diritti: ne mancano ancora due per raggiungere la maggioranza qualificata. “Sono ottimista sull’esito finale - dice Guidi - come pure sulla possibilità di rinegoziare i diritti di reimpianto dei vigneti”. Orsi ritiene inevitabile che “il minor prodotto conferito dai soci faccia salire l’incidenza dei costi di produzione sul confezionato. Se a ciò aggiungiamo anche gli aumenti sui costi di forniture derivanti dall’incremento dell’Iva al 21%, stimabili 11 milioni l’anno, è evidente che non riusciremo ad arrivare sul mercato con prodotti competitivi anche sul prezzo”.
Nel 2010 L’Italia ha surclassato la Francia esportando 20 milioni di ettolitri contro 13,5, ma Parigi ha fatturato oltre 6 miliardi contro i4 del nostro Paese. “Le classifiche non c’interessano - sottolinea Antinori -. Meglio impegnarsi di più sulla qualità”. Sulla stessa lunghezza d’onda è Vallarino Gancia: “Dobbiamo impegnarci a fare più qualità, ma non dimentichiamo che abbiamo oltre 500 marchi tra Doc, Docg e Igt. E ora i varietali (cioè i vini comuni che riportano in etichetta il, nome del vitigno e l’annata ndr). Siamo galvanizzati dal successo che continuiamo a riscuotere all’estero e che potrà allargarsi ulteriormente grazie alle prospettive di mercati come Stati Uniti Russia e Cina”, quest’ultimo un mercato piccolo ma in forte crescita”. In Italia invece stride il contrasto tra la crescente cultura del vino e i consumi calanti. Si beve meno ma di qualità. Rispetto a 30 anni fa il consumo procapite divino è crollato del 30% a meno di 25 milioni di ettolitri. Nei supermarket, secondo le rilevazioni di Symphony Iri Group, crescono soltanto le vendite di vino di qualità, quelli da sei euro in su a bottiglia a cui il consumatore attribuisce un rapporto qualità prezzo favorevole. Una conferma che la cultura del vino ha fatto passi da gigante, specie tra i più giovani. E lo si vede anche dal valore che si attribuisce al ruolo del sommelier. Non è un caso che l’Associazione italiana sommelier conti ben 3l mila iscritti(+3o% rispetto a dieci anni fa),di cui la metà sono under 40. “E la conferma - conclude Antinori - che i consumatori desiderano essere anche degli esperti per fare le scelte giuste. E il fatto che molti siano giovani danno tranquillità anche ai produttori”.

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