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Il Sole 24 Ore

Se il vino diventa passione ... Il Wine Spectator è una il delle riviste di vino più potenti d’America: con una recensione può fare o distruggere le fortune di qualunque produttore. Oggi al Marriott Hotel a New York ha organizzato la seconda giornata di una riunione di 260 produttori mondiali di alta qualità, piccoli e grandi. Di questi, 45 sono cantine italiane, Frescobaldi, Pio Cesare, Gaja, Ornellaia, Giacosa, Antinori etc. Ve ne parlo perché al di là del vino, dell’assaggio e della qualità, emerge vedendo i produttori italiani un approccio diverso di business rispetto a quello americano che conferma una costante che ho rilevato più volte negli ultimi anni e che ci riguarda: piccolo può essere bello. Ad esempio, l’America ha una produzione di 25 milioni di ettolitri, l’Italia produce 40 milioni dl ettolitri, (siamo secondi al mondo solo alla Francia con 44 milioni di ettolitri). Ma il più grande produttore italiano è il Gruppo Italiano Vini, un consorzio di cooperative che fa 250 milioni di bottiglie all’anno. Constellation Brands il più grande americano produce e distribuisce 1,1 miliardi di bottiglie all’anno! E i fratelli Gallo in California, ne producono 700 milioni. In Australia la produzione è concentrata su quattro grandi vinai. Da noi, produttori celebri in tutto il mondo, fanno fra le 100.000 e le 350.000 bottiglie, restano su livelli artigianali. Solo in Piemonte, nella zona delle Langhe di produttori artigianali ce ne sono 800. Sul territorio nazionale arriviamo a un censimento di 35.000 cantine. C’è da chiedersi: ci manca qualcosa per fare il grande salto? Ad esempio, abbiamo ottime pizzerie ma le grandi catene di pizzerie che hanno fatto la fortuna con le nostre idee sono tutte americane. Noi siamo più votati all’esportazione che all’investimento diretto. Siamo per questo più vulnerabili? Non necessariamente. “In Italia saremo frammentati, ma facciamo sistema - dice Angelo Gaja dell’omonima casa vinicola a NY per il convegno di Wine Spectator - i piccoli e i grandi sono molto legati e questo ci consente di essere fra i primi nel mondo. Abbiamo tradizioni millenarie. La radice nel territorio. La forza della passione davanti a quella per il danaro. Molto diverso dal modello americano. Ma a noi ci sta bene così”. Lo stesso vale per le miriadi di piccole medie aziende, snelle, aggressive nei mercati mondiali di nicchia. Non saremo multinazionali, ma sul Wine Spectator i 45 arrivati a NY sono fra i primi in tutte le graduatorie. Ha ragione Gaja: a noi va bene così.


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