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Il Sole 24 Ore

La crisi colpisce anche l’export ... Pesa la frenata dell’economia mondiale, più mercato il calo al di fuori della Ue ... La quarta industria nazionale la prima per esportazioni. Sono numeri di tutto rilievo quelli che può mettere in campo l’industria alimentare del Piemonte.
Trainata dal settore del vino e delle bevande, ma anche da comparti come quelli dei prodotti da forno, delle carni e del lattiero-caseario, l’industria alimentare del Piemonte, con un giro d’affari di 11 miliardi di euro (pari al 9% del totale nazionale) si colloca alle spalle solo di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.
Ma, al di là dei dati assoluti, il settore del food piemontese in Italia è quello più export oriented. Nel 2010, infatti, secondo i dati di Federalimentare, l’export alimentare della regione ha raggiunto quota 3,3 miliardi di euro (pari al 16% del totale nazionale) con una crescita del 9,4% rispetto all’anno precedente. Un trend che nel corso del primo semestre 2011 ha messo a segno un’ulteriore accelerazione con un +11 per cento.
Tornando ai dati 2010 il Piemonte ha comunque inviato oltre frontiera circa 1130 per cento. Una percentuale che risulta quasi doppia rispetto alla 4uota nazionale che vede l’industria alimentare made in Italy realizzare all’estero circa il 17% del proprio fatturato Complessivo.
Fra i singoli settori, il comparto del vino e delle bevande, on circa i,i miliardi di euro +11,4%), rappresenta la voce li gran lunga prevalente con un’incidenza sul totale dell’export alimentare regionale del 35 per cento.
“I dati sull’export alimentare del Piemonte sono molto positivi — spiega il presidente di Federalimentare, Filippo Ferma (piemontese e vicepresidente del gruppo Ferrero) - tuttavia, non mancano i punti di debolezza. Come l’eccessiva concentrazione delle vendite sui mercati europei. L’export alimentare del Piemonte resta, infatti, al 70%, entro i confini comunitari contro una media nazionale che è del 6 percento. Tra gli sbocchi ai quali ritengo si debba guardare con maggiore attenzione vanno senza dubbio annoverati i Paesi dell’Est europeo, l’America Latina e la Turchia. Aree nelle quali si contano milioni di potenziali nuovi consumatori. Spazi che vanno individuati anche attraverso lo strumento degli accordi bilaterali a costo zero. Cioè con intese che consentano di superare vincoli sanitari stringenti che spesso, per prodotti come, ad esempio,i salumi, si rivelano vere e proprie barriere all’ingresso su nuovi mercati”.
Fra i marchi emergenti dell’industria alimentare del Piemonte, cioè fra quelli che di recente hanno messo a segno i progressi più interessanti, va ricordato ad esempio il caso di Inalpi. Le Industrie alimentari del Piemonte, che producevano formaggio fuso a fette e formaggini,hanno investito, direcente, circa 20 milioni di euro nella realizzazione di un impianto per produrre latte in polvere. Produzione che, inoltre, è al centro di un accordo con gli allevatori della Coldiretti (che forniscono latte crudo alla stalla) e con la Ferrero che acquista il latte polverizzato.
“L’accordo - spiega il presidente di Inalpi, Ambrogio Invernizzi - è all’insegna della massima trasparenza visto che fa leva su un prezzo indicizzato sviluppato dall’Università di Piacenza. La produzione prevista a regime sarà di i8mila tonnellate che rappresentano 1170% del latte in polvere utilizzato da Ferrero Italia (che prima si approvvigionava all’estero) e il 20% della produzione della regione. Intanto, il nostro fatturato, dai 27 milioni del 2009, con la realizzazione dell’impianto è schizzato a 69 milioni nel 2010 e prevediamo di arrivare a quota ii milioni a fine 2011, con una crescita cioè del 66% in un anno”.
Chi, invece, mette a segno progressi soprattutto sul fronte export è un altro marchio simbolo dell’alimentare piemontese: l’aceto Ponti. “La difficile congiuntura economica - spiega il direttore generale, Giacomo Ponti - restringe i margini di scelta delle aziende. In Italia i consumi, già stagnanti, espongono i produttori a una forte pressione promozionale che taglia i margini per le imprese. Non resta che puntare sull’estero. Ed è quello che abbiamo fatto. Nonostante l’export rappresenti ancora il 18% dei 112 milioni di euro del nostro fatturato tuttavia cresciamo al ritmo del 10% l’anno e siamo ormai presenti in 77 diversi paesi dove l’aceto, e in particolare quello balsamico, sono considerati fra i prodotti chiave della cucina italiana”.

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