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Il Sole 24 Ore

Il vino italiano vince all’estero perché fa scelte di alta gamma ... Il settore del vino e dei derivati dell’uva è una delle punte di diamante dell’industria alimentare italiana. Ma il raccolto nazionale del 2011è stato probabilmente il peggiore degli ultimi cinquant’anni, poco sopra i 40 milioni di ettolitri. Ciò ha permesso a Francia e Spagna di superare temporaneamente il nostro Paese quale primo produttore mondiale. Hanno influito sulla flessione dei raccolti in Italia le anomale condizioni climatiche e i programmi di estirpazione a premio dei vigneti, che, come rileva l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) nel suo ultimo bollettino, stanno portando a una riduzione strutturale delle produzioni. Anche i consumi delle famiglie evidenziano un lieve calo. Tuttavia, i prezzi sono in risalita, con una progressione superiore al 20 per cento. E, soprattutto, notevoli soddisfazioni per i produttori continuano a venire dagli scambi internazionali. Nel 2010, nonostante la più grave crisi economica mondiale degli ultimi 80 anni, l’export del settore italiano dei vini, spumanti e altri vini speciali ha sfiorato14 miliardi e il surplus con l’estero è stato di circa 3,6 miliardi. Una corsa che pare non arrestarsi. Infatti, nei soli primi mesi del 2011 l’exporthagiàsuperatoi4miliardie il surplus ha raggiunto 13,7 miliardi: si tratta, in entrambi i casi, di nuovi record per il settore. Secondo l’Osservatorio Gea-Fondazione Edison, l’Italia nel 2010 si è confermata non soltanto il primo esportatore mondiale divini in bottiglia in quantità e il secondo in valore dopo la Francia, ma detiene molte altre posizioni rilevanti: è seconda in valore nei vini spumanti, prima nei vermut, nei mosti, nel vino alla rinfusa e nell’aceto. Nel 2010 le quattro principali province esportatrici di vini in valore sono state Verona, Cuneo, Trento e Treviso.
Nei primi mesi del 2011 i principali mercati del vino italiano si sono confermati gli Stati Uniti, la Germania e la Gran Bretagna. Crescono a due cifre anche le esportazioni tendenziali verso Giappone, Francia, Paesi Bassi e Svezia. Per gli spumanti, comparto in cui vi sono stati ottimi incrementi in valore, nel periodo gennaio-novembre 2011, i maggiori mercati per l’Italia sono stati la Germania, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Russia (con americani e russi che sembrano apprezzare in modo particolare le nostre bollicine). Il vino è il più grande settore del comparto agroindustriale italiano, con 9 miliardi di euro ai prezzi di produzione. Questo valore va almeno raddoppiato per raffigurare con buona approssimazione il valore al consumo. Quello vinicolo è uno specchio fedele dei grandi trend che investono l’alimentare nel mondo e mette in risalto i punti di forza dell’Italia Troviamo un’imprenditorialità diffusa, che con 160mila aziende e un milione di etichette sa rappresentare il proprio territorio ed esprime un modello a cavallo tra industria e artigianato che il mondo ci invidia. Ma, per controbilanciare le debolezze competitive di un modello esposto alle crescenti insidie della globalizzazione, si registra un importante fenomeno di concentrazione che permette alle imprese di affrontare i mercati internazionali con taglie progressivamente più adeguate: le prime 99 aziende italiane rappresentano ormai il 46% del valore totale della produzione nazionale. L’Osservatorio Gea-Fondazione Edison ha analizzato i risultati di 22 delle 29 principali aziende vinicole italiane (sono state escluse le società cooperative: Caviro, Cavit, Soave, La Vis, Ponti, Settesoli, Tollo). Sono stati considerati come parametri di riferimento l’Ebit e il fatturato medi nel periodo 2007-2010. La gamma dei risultati ottenuti nel periodo dal campione di aziende dimostra che, muovendo correttamente le leve, si può crescere nonostante le crisi come dimostrano i casi di Zonin (+12%) e Giv (+11%). Oppure che anche in tempi difficili come quelli attuali si può guadagnare in modo significativo, come è il caso di Masi (Ebit 24%), Santa Margherita (22%) e Frescobaldi (15%). Ma quali sono i fattori critici di successo del vino italiano? Proviamo a guardare le azioni che hanno determinato il successo o l’arresto delle aziende esaminate. Le tre aziende citate come le più redditizie non sono le più grandi del campione (collocandosi nella fascia di fatturato tra 6o e 8o milioni). Sono aziende che sono riuscite a dire molti no a clienti non coerenti con la strategia, oppure che hanno saputo rinunciare a fatturati sul canale moderno troppo promozionato a vantaggio di una ristorazione di buon livello che potesse accreditare l’etichetta. O che hanno perfino rinunciato a fatturati in Paesi disponibili solo a trattare grandi volumi a prezzi modesti. Dunque attraverso una serie di scelte selettive è stato possibile posizionare i propri vini nelle carte dei migliori ristoranti di fascia media e alta del mondo. Perché la ristorazione non tratta vini da supermercato e per creare una marca come Gaia è necessaria una disciplina commerciale unita ad una pazienza seconda solo a quella dei grandi enologi. La dimensione è stata, tuttavia, indispensabile per aziende come Giv, Zonin o Antinori nello sviluppo dei più importanti mercati esteri (Usa, Germania, Gran Bretagna). A differenza del gruppo di aziende precedente, che potremmo definire esportato- ridi specialità, questo secondo lotto è riuscito a costruire vere e proprie aziende strutturate nei paesi target. Hanno saputo offrire ai grandi clienti un livello di servizio migliore dei grandi concorrenti americani, australiani, sudafricani e sudamericani. Hanno saputo sviluppare prodotti adatti a questi mercati e coerenti con target di consumo che non erano abituati al vino e che avevano bisogno di prodotti dedicati. E i tassi di crescita che hanno saputo esprimere dimostrano quanto queste scelte fossero corrette. Chi guadagna di più ha una coerenza territoriale nella produzione; chi ha ritenuto di sfruttare la propria rete vendendo tutte le regioni, tutti i vitigni, tutte le fasce di prezzo viene apparentemente smentito. In termini di reddito operativo vince chi mantiene focus geografico con vitigni coerenti (Toscana, Veneto, Trentino, Piemonte). Il consumatore è spesso confuso dall’offerta divino. L’architettura di gamma sembra fatta per escludere più che attrarre, sviluppando un’offerta da addetti ai lavori costruita per i “sommelier ambizionali”. La semplificazione dell’offerta è invece alla base del successo dei grandi di Napa Valley, di Yellow Tail e di Penfolds. Una gamma piccola (meno di 40 prodotti è quella di Antinori, Masi, Santa Margherita e Marchesi De Frescobaldi) con posizionamenti chiari dei prodotti diventa un modo semplice per esse- re capiti e acquistati, soprattutto all’estero dove spesso la gente non riesce a capire molto delle nostre denominazioni.
A giudicare dai dati di bilancio chi guadagna di più spende in comunicazione tra il 4% ed il 6% del fatturato. Un po’ più della metà di quanto spende, per un raffronto, un gigante come Heineken. Ma esistono attività di marketing molto meno visibili rappresentate dalle promozioni all’assaggio e che sono spesso una chiave di volta nello sviluppo di una particolare categoria. Importanti catene americane di ristorazione di qualità offrono gratuitamente il 30% del totale del vino acquistato. Poi però vendono il calice di prosecco a 8 dollari e magari riescono a creare dal nulla il mercato del moscato in un anno.

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