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Il Sole 24 Ore

Gli spumanti trainano ancora l’export italiano ... Il successo del vino italiano all’estero ha almeno tre driver:
Stati Uniti, Regno Unito e Prosecco. Il nostro Paese è il primo esportatore mondiale a volume e il secondo a valore ma il vino è anche la prima voce nell’export dell’agroalimentare. Tuttavia se vorrà conservare una posizione di prestigio dovrà imparare, in tempi ragionevoli, a esportare anche in Cina, il quarto mercato mondiale per consumo.
il sistema vitivinicolo italiano nelsuocomplessovaieoltrei4mi- liardi di euro e l’export del 2015 ha raggiunto la soglia record di 54 miliardi di euro. Gli ettolitri esportati sono stati intorno ai 20 milioni, in lieve flessione. Nel complesso, l’anno scorso a fronte di un forte taglio del prodotto sfuso (-12%), hanno tenuto i vini fermi imbottigliati (+0,2%) ma hanno fatto la differenza gli spumanti (+4%), sarebbe a dire il Prosecco (250 milioni di bottiglie). Le bollicine valgono quasi un miliardo contro i4 dei fermi.
“Il Prosecco ha trainato l’export- commenta Denis Pantini, direttore del Wine monitor di Nomisma - e rappresenta il 90% del codice doganale degli spumanti”. L’anno scorso il vino italiano è cresciuto, a valore, del 20% negli Usa, del i°io in Cina e del 12% nel Regno Unito e in Canada. In calo l’export verso la Germania, -2,3%, e soprattutto verso la Russia,-29%,a causa della grave recessione nel Paese e degli effetti indiretti delle sanzioni commerciali.
“Il boom negli Usa - osserva Pantini - è stato determinato dalla valutazione dell’euro sul dollaro. Infatti in dollari la crescita si riduce moltissimo”.
“L’anno scorso - sostiene Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino - le cantine sono state svuotate e le annate 2010, 2009 e quelle precedenti sono andate a ruba. Solo a dicembre 2015 l’imbottigliato ha registrato un +20%, che già fu molto positivo”. Su circa 15 milioni di bottiglie vendute, l’export è salito dal 67,5% al 70% con gli Usa che rappresentano oltre il 30% dell’export; seguiti da Europa al 20%, mercati asiatici (Cina, Giappone, Hong Kong ecc.) che realizzano il 15%.
Gli Stati Uniti importano vino tricolore per 1,5 miliardi, il Regno Unito per 8oo milioni, la Germania per circa 890 milioni, la Russia per 180 milioni e la Cina “solo” per 90 milioni. “Cresciamo in Cina - osserva Pantini - ma meno dei competitor, come Francia, Australia, Cile e Spagna. I cinesi non bevono Prosecco o Francia- corta; quando acquistano champagne lo regalano. Preferiscono i vini rossi corposi”.
L’anno scorso l’export verso la Cina è balzato del 60%, con la Francia (+63%), l’Australia (+112%) e il Cile (+67%) nelle prime tre piazze. Pechino importa vino per quasi due miliardi e l’Italia ha una minuscola quota di mercato del 5% contro il 60% dei leader francesi.
“Il mercato cinese è quanto di più difficile si possa interpretare - si lamenta Donatella Cinelli Colombini, titolare del toscano Casato prime donne e fattoria Trequanda - I cinesi devono sviluppare la conoscenza dei vini italiani. Poi un altro ostacolo è costituito dalla scarsa fedeltà degli importatori cinesi. Molto diversi dai giapponesi, dove si rimane in società per decenni”.
Eppure l’importanza del mercato cinese non sfugge agli imprenditori italiani. Il Consorzio del Prosecco Doc è convinto di poter convincere i consumatori cinesi a bere anche gli spumanti:
ha infatti inaugurato a marzo, nell’antica capitale cinese Xi’an, la Casa del Prosecco. “Siamo orgogliosi - dichiara il presidente del Consorzio Stefano Zanette - di aver inaugurato la prima antenna operativa sui territori esteri. Speriamo che altri seguano il nostro esempio”. Inoltre sempre in Cina, qualche giorno fa ha aperto a Shanghai l’Accademia del vino italiano, patrocinata da Ismea e dalla società Business). Gli iscritti hanno dai 25 e i 35 anni (con punte fino ai 45), donne, laureati, e provenienti dalla medio- alta borghesia. Nella classifica mondiale dei grandi esportatori, nel 2015 la Francia è cresciuta del 6,8% a 8,2 miliardi, seguita da Italia 54 miliardi, Spagna 2,6 miliardi, Cile 1,6 miliardi, Australia 1,4 miliardi e Usa 1,3 miliardi.
La classifica dei prezzi medi è capeggiata sempre dai francesi con 5,83 euro a litro, seguita da Nuova Zelanda con 4,5, Usa con 3,30, Argentina con 2,73 e Italia con 2,67. Nel confronto a tre fra Francia, Italia e Spagna si manifesta tutto il valore percepito dai consumatori sugli sparkling e i rossi: secondo i dati di Wine monitor, nella prima categoria, il prezzo medio all’export dello Champagne è di circa z euro/litro e lo sparkling transalpino di 16,9 euro; seguono gli spumanti Dop con 3,6 e lo sparkling Italia con 3,43 euro. Nei rossi il Borgogna arriva a 22,6 euro, seguito dal Bordeaux a 9,6, dal Piemonte a 8,1 e dalla Toscana a 6,1.
Nella graduatoria dell’export dei vini regionali italiani, il Veneto si conferma leader con 1,83 miliardi e una crescita del 10%; battuta d’arresto del Piemonte (ma anche dell’Emilia Romagna) che arretra del 2% a 964 milioni. In questo caso ha pesato molto lo scivolamento del vino sfuso, sotto la pressione dell’export spagnolo.
Ottima la performance della
Toscana con un balzo di circa il
19% a 902 milioni; arretrano
Emilia Romagna (-11%) e Lombardia (-5%) ma crescono
Abruzzo (+7%), Sicilia (+3%) e
Puglia (+6%).

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