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Il Sole 24 Ore

Il vino italiano, Alibaba e il tesoro del mercato cinese ... Come nella favola di Alibaba e i quaranta ladroni, Jack Ma (presidente
esecutivo di Alibaba Group), ha promesso di aprire una porta magica a tutti i produttori italiani di vino. Il tesoro è il mercato cinese e la parola chiave è ecommerce, in un’accezione molto ampia che comprende mercati whole sale e retail, digital marketing e sistemi di pagamento, ma anche servizi tecnologici tra cui cloud-based computing, mobile e servizi di rete. 119 settembre sarà la giornata del vino italiano su Alibaba, sfruttando l’assonanza nella lingua cinese tra il numero 9 e il vocabolo “vino”, sulla base dell’esperienza del Guanggun Jie (11 novembre), giornata dedicata agli acquisti on line, che ha portato nel 2015 a vendite on line per 14,3 miliardi di dollari in un solo giorno, di cui 9,3 solo su Alibaba.
Al termine della settimana del Salone del Mobile e del Vinitaly, la prospettiva di una partnership tra il Made in Italy è il più grande gruppo al mondo nel campo del commercio elettronico sembra la notizia più interessante. Nel settore del vino, come in molti altri, le imprese italiane faticano a confrontarsi con mercati lontani dal punto di vista geografico o culturale, a causa di limiti strutturali e cognitivi. L’ipotesi di poter utilizzare i canali distributivi di Alibaba, anzitutto in Cina, apre grandi prospettive di crescita, rispetto alle quali è difficile immaginare strategie alternative.
Conosciuta ancora poco in Italia, Alibaba è un’impresa cinese, fondata nel 1999 da 18 persone, salita agli onori delle cronache occidentali nel 2014, in occasione della sua quotazione al Nyse che, con una raccolta di 25 miliardi di dollari, ha infranto tutti i record degli Ipo. Nata con la missione di sostenere le vendite internazionali dei piccoli produttori cinesi, Alibaba è molto diversa dagli stereotipi che la riguardano. Recentemente, alla vigilia di un dibattito pubblico tra Jack Ma e Mark Zuckenberg, Alibaba ha annunciato il proprio ingresso nel campo della realtà virtuale con l’obiettivo di migliorare l’esperienza di acquisto dei suoi 400mila clienti. Con questo obiettivo, a febbraio Alibaba ha acquistato una quota di Magic Leap (start up americana nel campo della realtà virtuale, valutata 4,5 miliardi di dollari) e a marzo ha dato vita a GnomeMagic Lab, un nuovo centro di R&D con l’obiettivo di sviluppare nuovi servizi di realtà virtuale e aumentata per lo shopping, giochi online e video streaming. Pochi giorni dopo, al Boao Forum for Asia (la Davos asiatica), Jack Ma ha presentato il progetto di una World e-Trade Platform (eWTP) cioè una piattaforma internet che possa funzionare come una Wto virtuale, ma senza le controversie, definendola un’organizzazione che aiuti “l’80% delle imprese e dei paesi invia di sviluppo che non possono partecipare al commercio internazionale”, senza porsi in competizione con la Wto ma “provando a distruggere il protezionismo nel commercio”.
Di fronte a questa grande opportunità per tutte le Pmi del Made in Italy, è però necessario porsi una serie di domande. La prima riguarda il potere contrattuale derivante da dimensioni così diverse, anche confrontando Alibaba con la più grande impresa vinicola italiana. È necessario che le imprese siano accompagnate in un percorso di questo tipo, al fine di non restare intrappolate se qualcuno dovesse pronunciare le parole “Chiuditi Sesamo!”.
In altre parole, è necessario un impegno istituzionale che riguarda il governo, ma anche un’attività di coordinamento e supporto, come quella del team di Vinitaly International guidato da Stevie Kim, che consenta di dialogare con l’interlocutore sulla base di una relazione meno sbilanciata. Se chiunque può aprire un negozio sulla piattaforma di Alibaba, non è automatico realizzare vendite significative.
L’idea portata avanti di Stevie Kim è che l’unico modo per competere con efficacia sia presentarsi come un player autorevole, creando insieme un unico canale del vino italiano. Diversamente il rischio sarebbe quello di muoversi in maniera frammentata e non riuscire a incidere (attualmente la quota di mercato del vino italiano in Cina è pari a i/io di quella del vino francese).
La seconda domanda riguarda quale sia il partner adatto per affrontare i nuovi canali. Alibaba si presenta come un player globale che copre molti segmenti, mentre esistono al- tre imprese nel campo dell’ecommerce più focalizzate sui brand posizionati sulle fasce alte dei mercati; si tratta della capacità di gestire in maniera integrata il marketing e le vendite on line dei prodotti di lusso, ma allo stesso tempo della capacità di gestire processi logistici efficienti e rispettosi delle caratteristiche dei prodotti. È importante selezionare con attenzione i partner per valutare i percorsi più appropriati per le imprese italiane di fascia alta.
Infine, è necessario chiedersi se il sistema Italia sia in possesso delle risorse umane adeguate a questa sfida. Se si guardano i tassi di crescita delle imprese dell’ecommerce negli ultimi 3 anni e, in particolare, quelli delle vendite effettuate attraverso il mobile, è evidente che la risorsa scarsa è il capitale umano. Da una parte è necessario investire nello sviluppo di percorsi educativi che portino il digitale in tutti i campi del sapere, ma dall’altra è urgente aumentare l’attrattività nei confronti di talenti internazionalie investire in formazione, soprattutto a livello manageriale. Qui sono necessari percorsi innovativi, interdisciplinari ed esperienziali che consentano soprattutto le capacità di gestione dei processi sottostanti queste attività, forse più che lo sviluppo di competenze verticali monoculturali. Alla fine della storia, chissà chi si terrà il tesoro.

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