Il concetto di terroir è ben più sfaccettato della definizione che sa darne una qualsiasi enciclopedia, e al di là del rapporto tra vitigno, microclima e suolo, abbraccia praticamente ogni aspetto della vita di un territorio, da quello economico a quello culturale ed umano, in un equilibrio di cui il vignaiolo deve imparare a prendersi cura, come farebbe un buon padre di famiglia. Dalle “Giornate dedicate a Giulio Gambelli”, uno dei nobili patriarchi del Sangiovese, oggi, nella superba medievale Rocca d’Orcia, che domina gli splendidi borghi e paesaggi del Patrimonio Unesco della Val d’Orcia, grazie all’intuizione di Pasquale Forte, alla guida di Podere Forte, diventata in pochi anni una delle cantine di riferimento della Toscana del vino, le “lezioni” di Aubert de Villaine, co-proprietario di una delle cantine più prestigiose del mondo, Domaine Romanée-Conti, icona della Borgogna, protagonista del dibattito “Il luogo, marchio del gusto” (intervista, su Winenews.Tv, andrà in onda la prossima settimana).
“Quella di terroir è un’idea che non può esistere, non può vivere e non può durare senza un vero e proprio matrimonio tra l’uomo e la natura: l’agricoltore non vuole che la terra perda la sua ricchezza, ma la sfrutta, come si dice in Francia, come un buon padre di famiglia, perché se non lo fa e non la rispetta la perderà. Se l’uomo non è in grado di ascoltare, comprendere e rispettare il potenziale che è disposto ad offrirgli il territorio - mette in guardia de Villaine - questo territorio non diventerà mai terroir. Bisogna sempre tenere presente, però, il tipo di valori che raccoglie un terroir, e non parlo dei valori economici, o patrimoniali, che qualcuno mette in evidenza, e che sono misurabili, quelli di cui parlo io sono valori diversi, il valore culturale ed umano, che si sviluppano al fianco dei risultati economici, ma che non sono quantificabili. Non è facile, ma è possibile valutare il valore degli effetti della combinazione delle condizioni naturali, del know how, delle conoscenze e, soprattutto, della capacità degli uomini di lavorare riproducendo la stessa attività, sullo stesso territorio, evolvendo ma restando nei confini stretti della tradizione, una tradizione che va conservata, in maniera sostenibile”, spiega ancora il co-proprietario di Domaine Romanée-Conti.
Il senso più profondo del successo di un terroir, in sostanza, non riguarda tanto “la crescita economica, che non dovrebbe mai sacrificare i valori culturali e sociali espressi da un territorio: quando valutiamo lo stato di salute dei territori, ci focalizziamo sulla crescita del valore patrimoniale, che crediamo sia l’unica in grado di raccontare il benessere, dimenticandoci della devastazione dei valori culturali, non capendo che la crescita percentuale di prezzi e valori, per quanto importante, non può prescindere dalla tutela del patrimonio culturale ed umano”, come aggiunge de Villaine. “Un’altra lezione che l’esempio della Borgogna ci lascia è che in un’epoca di internazionalizzazione e globalizzazione, i prodotti del terroir non stanno sparendo, al contrario, sono sempre più cercati sui mercati: sono prodotti che riflettono un’identità culturale - racconta il vignaiolo di Borgogna - che giocano un ruolo fondamentale nella costruzione di un’identità politica-territoriale ancora oggi essenziale”.
In questo senso, conclude de Villaine, “il modello della Borgogna è un esempio per qualsiasi altro terroir vitivinicolo al mondo, e basa la sua forza sulla stabilità. Tutti i terroir del mondo, se vogliono durare nel tempo devono trovare un modello economico che generi stabilità. Allo stesso modo, c’è un’ultima lezione. Questo modello economico, quello della Borgogna, è legato fortemente alla sua parcellizzazione e diversità estrema, che ha formato e dato forza alla piccola proprietà familiare. Il terroir di Borgogna, oggi, è fondato sulla piccola proprietà familiare, che attraverso la trasmissione del know how e la fedeltà alla tradizione ha permesso alla viticoltura del territorio di durare nel tempo”.
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