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Il Tirreno

Il grande architetto e la fabbrica del vino… Qualità del vino e linearità delle forme. È questa la sfida che Lodovico, Piero Antinori e il nipote Nicolò Marzichi Lenzi, assieme a Umberto Mannoni, lanciano da Campo di Sasso, tenuta di 70 ettari a un paio di chilometri di distanza dal viale di Bolgheri. Per vincerla si sono affidati all’estro e all’esperienza di Gae Aulenti, architetto e designer tra i più grandi al mondo, che ha legato il suo nome a interventi destinati ai manuali d’architettura. La sua cantina griffata, dal minimo impatto ambientale, farà da contraltare a quella realizzata nella tenuta Petra, pochi chilometri a sud, su progetto dell’architetto Mario Bòtta: la prima sarà discreta e appena visibile, la seconda è tanto bella quanto evidente. Alla presentazione della Tenuta Campo di Sasso, ieri, non c’erano i vicini bolgheresi, segno evidente di una coesione che tra i produttori rivieraschi inizia a venir meno. Ma il marchese Lodovico Antinori, lìder maximo dell’ennesima, nuova avventura imprenditoriale della dinastia vinicola più famosa d’Italia, non ci ha fatto caso. Assieme al fratello Piero e al cugino Nicolò, ha scritto la storia di Bolgheri dando gambe all’intuizione dello zio Mario Incisa della Rocchetta, inventore del Sassicaia. A Campo di Sasso, Lodovico vuol ripetere i fasti di Ornellaia, sua ex-creatura, ora nelle mani dei “rivali” Frescobaldi. Ci proverà con tre rossi (Insoglio del cinghiale, Pino di Biserno e Biserno) adatti a ogni fascia di mercato. I lavori della nuova cantina si concluderanno nel 2007.
Le manca solo un particolare, un dettaglio che potrebbe apparire insignificante: scegliere il materiale con cui rivestire i muretti esterni. Il dubbio sta tra il cotto toscano, che fa tradizione ma assorbe tutto, e una pietra indiana, rossa quasi come il vino che vogliono produrre a Campo di Sasso. Poi Gae Aulenti, semplice al pari del suo design che ha contrassegnato un’epoca, avrà concluso il lavoro nella tenuta che la dinastia Antinori gestisce in società con Umberto Mannoni.
La prima cantina da lei progettata avrà un bassissimo impatto ambientale, con il locale degli uffici unica sporgenza sulla collina che degrada: cinque metri in tutto sul piano di campagna, compensati dal gioco dei dislivelli e mimetizzati nel verde. Non fosse per i muretti - in cotto toscano o in pietra indiana che siano -, la cantina Antinori disegnata da Gae Aulenti finirebbe per apparire come un’opera della “Land Art”, un disegno del terreno, un edificio dal minimo impatto visivo che all’interno racchiude spazi belli e intensi. «In effetti i muretti sono l’unica cosa rimasta in sospeso - dice Gae Aulenti -. Ma tra me e il marchese Lodovico Antinori c’è un patto: nessun orrore».

Ritiene che il minimalismo sia una virtù?

«In questo caso significa rispetto del paesaggio. Non sono favorevole al minimalismo tout court in architettura. Anzi, penso che la pienezza degli spazi sia necessaria. Qui a Campo di Sasso riempiremo i volumi all’interno, all’esterno saremo minimalisti. Proprio come accade nella “Land Art”».

Il rispetto del paesaggio bisogna sentirlo dentro.

«È così. La prima volta che venni qui mi fecero atterrare in una pista in mezzo al bosco. Dall’alto si vedeva tutto, ma devo dire che l’impatto visivo, da terra, è migliore: dall’aereo tutto appariva piatto; a piedi si apprezza meglio la bellezza di queste colline».

Perché un grande architetto come lei, passato dal design alla ristrutturazione dei musei, ha deciso di progettare una cantina?

«Chi ne ha fatta una in California, chi in una Francia... I migliori architetti al mondo hanno disegnato cantine. Credo che un motivo spieghi tutto ciò. Prima erano collocate sotto le grandi ville, sotto ai castelli. Oggi sono la fabbrica del vino, organismi con regole assai precise da costruire ex novo».

Lei torna al tema del paesaggio. È possibile coniugarlo con l’architettura?

«È ciò che vorrei fare. Proprio perché costruiremo sotto terra, abbiamo la possibilità di fare una cosa del tutto contemporanea, che accenni appena la sua presenza a chi guarda».

Nella Toscana litoranea ci sono esperienze contrarie. L’architettura di alcune cantine è invasiva allo sguardo. Come la giudica?

«Posso dirle quel che penso io, non ciò che anima le azioni degli altri. Credo che si debba essere molto discreti, accompagnare il paesaggio senza violentarlo. Dopotutto una cantina serve a lavorare un prodotto della terra, l’uva. Il contenuto dunque deve essere coerente con l’aspetto».

Come ha accolto la proposta di Lodovico Antinori?

«Conoscevo il marchese. Un giorno mi telefonò per propormi questo lavoro. Accettai subito, perché non mi piace fare le stesse cose e ho sempre voglia di cambiare. Ho progettato tanti musei e l’idea di cambiare materia mi è piaciuta fin da subito. Riprendere a studiare mi ha dato una iniezione di vitalità».

Ha in mente di firmare altre cantine?

«Non so se un lavoro del genere tornerà a capitarmi. Ma ho la sensazione che sia meglio cambiare: non è giusto specializzarsi in qualcosa. Neppure in cantine».


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