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Il Venerdi' Di Repubblica

Ecco la polizia del prosciutto. Con la pistola ... Per contrastare le frodi alimentari, una legge del 1999 prevede che anche i dipendenti dei consorzi locali possano effettuare controlli. Armati. Ma ora il Viminale vuole limitare i poteri di questi “sceriffi” privati... Nell’anno delle ronde, non stupisce scoprire che già dal ‘99 esiste in Italia una “polizia” del prosciutto, del pecorino e di altri prodotti alimentari tipici. Una polizia privata, formata da addetti dei consorzi nati per garantire il marchio e vigilare contro la contraffazione. Un corpo che può anche essere armato, e con i poteri di un pubblico ufficiale, che finora non ha fatto protestare nessuno. E che, anzi, conta sempre più adepti. L’ultimo, in ordine di tempo, è Walter Giorgi, giovane presidente del Consorzio del prosciutto toscano Dop (denominazione d’origine protetta), che dalla fine di agosto s’è aggiunto ai già circa cento “agenti vigilatori” che lavorano per conto dei consorzi di tutela dei prodotti italiani Dop e Igp (indicazione geografica garantita). “D’ora in poi non mi occuperò solo della valorizzazione del prodotto” spiega Giorgi, “ma potrò anche lottare contro gli “agropirati”, ovvero coloro che abusano del nome del prosciutto toscano”. L’offensiva contro gli “agropirati” s’è fatta più massiccia da
maggio. Da quando, cioè, è obbligatorio il marchio comunitario per gli alimenti Dop e Igp (quelli italiani sono 181). Il marchio certifica che l’alimento è stato prodotto secondo un procedimento molto preciso e vincolante, che, ovviamente, finisce per incidere sul prezzo del prodotto, più caro di uno comune. Un procedimento senza il quale, anche se prodotto in una certa regione, un alimento non può utilizzarne il nome. E qui arriva il dettaglio importante: per lottare contro gli abusi, Giorgi sarà, come i suoi colleghi di altri consorzi con le stesse mansioni, un agente di pubblica sicurezza a tutti gli effetti, grazie a un’autorizzazione rilasciata dal ministero delle Politiche agricole dalla prefettura. Giorgi potrà redigere verbali, ordinare sequestri e comminare multe. E, soprattutto, potrà utilizzare la pistola in servizio. Lo autorizza ad agire come un qualsiasi poliziotto la legge 526 del 1999, con la quale lo Stato delega controlli e sequestri non solo all’Ispettorato controllo qualità, al Corpo forestale, ai Carabinieri, ai Nas e alla Guardia di Finanza, ma anche, appunto, agli stessi dipendenti dei Consorzi riconosciuti dal ministero.

Da quando si è insediato al ministero delle Politiche agricole, il leghista Luca Zala, enologo di formazione e promotore del Consorzio di tutela del radicchio rosso di Treviso e Castelfranco, ha dato il via alla politica della “tolleranza zero” contro la contraffazione agroalimentare. Ma le forze sono impari e gli “agropirati” aumentano: solo nel 2007, secondo i dati di Nomisma, sono stati sequestrati alle frontiere della Ue due milioni di prodotti contraffatti: il 62 per cento in più rispetto all’anno precedente. La “polizia del prosciutto” (e del pecorino, fra poco anche dell’olio extravergine) serve proprio a moltiplicare i controlli. Ma non è rischioso delegare funzioni pubbliche (e permettere l’uso della pistola) ai dipendenti di un ente privato? Se lo stanno domandando al Viminale, dove c’è chi vorrebbe privare gli addetti dei consorzi almeno dell’uso dell’arma. Dice il segretario dell’Associazione consorzi indicazioni geografiche, Pier Maria Saccani: “I consorzi svolgono un ruolo di pubblico interesse”. Il punto è che per diventare agenti non è obbligatorio alcun corso di formazione: è sufficiente che il consorzio riceva un’autorizzazione ministeriale. E le richieste di accreditare nuovi agenti vigilatori sono in continuo aumento. C’è anche chi, come il Consorzio del prosciutto di Parma e quello del prosciutto di San Daniele, grazie a leggi speciali, ha in organico ufficiali di polizia giudiziaria. Ma chi vigila sull’operato di questi “sceriffi”? “In quanto agenti di pubblica sicurezza, hanno gli stessi doveri dei poliziotti” dicono dal ministero delle Politiche agricole “ed esiste un programma annuale d’intervento sottoposto al vaglio dell’Ispettorato controllo qualità”. “Utilizziamo da molti anni questa figura” spiega il presidente del Consorzio del pecorino toscano Andrea Righini: “Con un solo agente controlliamo negozi e supermercati”. Il Consorzio non verifica solo la tracciabilità del prodotto, ma effettua anche prelievi di campioni di merce che invia a la boratori accreditati. “Fra stipendi e missioni spendiamo tra i 45 e i 50 mila euro l’anno” dice Righini.

Il Consorzio del prosciutto di Parma vigila in tutt’Italia con tre agenti. Uno di questi si reca all’estero una settimana al mese. “Sono migliaia i nostri interventi” spiega l’avvocato del consorzio, Federico Desimoni, “con una media di una contraffazione del marchio ogni anno e mezzo e decine e decine di casi di uso improprio del nome, sia in Italia che all’estero”. La legge prevede multe da 500 a 50 mila euro. “E una multa è più efficace di una denuncia penale” dice Maurizio Castaldo, ispettore del Consorzio della mozzarella di bufala Campana. Ancora più frequenti sono le frodi nel settore dell’olio, come spiega Christian Sbardella, responsabile marketing del Consorzio dell’olio extravergine d’oliva toscano. “Anche noi faremo richiesta di un agente vigilatore. È indispensabile: per produrre il vero olio toscano, la raccolta di cento chilidi olive ci costa 50-60 euro, mentre in Spagna ne spendono dai tre ai sei”. “Se si considera che in Toscana s’imbottiglia il 40 per cento dell’olio italiano e se ne produce solo il 5” dice poi Paolo Degli Antoni del Corpo Forestale “si capisce quanto è elevato il rischio di frodi”.
E infatti, negli ultimi due anni circa metà dei produttori toscani ha ricevuto sanzioni. Se si aggiunge che il 65 per cento dell’olio toscano Igp è esportato, si capisce la preoccupazione: “La nostra azione non va solo a difesa di un marchio” dice Sbardella, ma pure della Toscana e dell’Italia”. Solo un dubbio: ma per tutelare tutto questo, c’è davvero bisogno della pistola?

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