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Il Venerdi' Di Repubblica

Jonathan Nossiter. Le vie del vino sono infinite ma portano tutte al terroir ... L’autore di “Mondovino”, il famoso documentario sui danni provocati dalla cattiva enologia, scrive un libro: per criticare chi uniforma gusti e culture. E per elogiare il “territorio”, il connubio perfetto tra terra, vitigni e uomo... No, non è uno di quegli uomini che per conquistare a cena una donna si lancia in disquisizioni piene di aggettivi sulla bottiglia in tavola. “Insopportabili. Il vino è emozione, non ostentazione”. No, nonostante il successo per il suo documentario militante “Mondovino”, dedicato alle nefandezze dell’enologia mondiale, non vuole fare il tribuno, meno che mai il nemico della globalizzazione. “Avevo due anni quando mio padre ci portò da Washington a Parigi. Sono cresciuto al crocevia di Francia, Italia, India, Inghilterra, Stati Uniti”. Cittadino del mondo, Jonathan Nossiter - regista e sommelier - ora vive a Rio de Janeiro, con la moglie Paula e i tre figli piccoli. Ha scelto un solo passaporto: il vino. Dice di aver trovato il suo “Heimat” (le radici, la patria) guardando i filari di Vouvray nella Loira o i grappoli di Volnay in Borgogna. Alle sofisticazioni della tecnica enologica, preferisce l’odore e i sapori del terroir, che si traduce territorio, ma in francese sintetizza il connubio perfetto tra terra, vite e uomo. “La difesa del terroir, non è segno di una ostinata e cieca difesa della tradizione. Al contrario, è un modo di andare avanti in modo etico, proteggendo la nostra identità e lottando contro le forze globali che vogliono uniformare il gusto”. “Le vie del vino” è il titolo del debutto editoriale di Nossiter, appena uscito da Einaudi. Una nuova divagazione su Bacco come specchio del mondo nel quale viviamo. Dopo aver dato la parola ai produttori e alle teste coronate dell’enologia (Mondavi, Mouton-Rotschild, Frescobaldi) nel suo documentario, Nossiter si è messo dalla parte del consumatore, divertendosi a provare alcune delle migliori tavole di Parigi, spulciando nelle cantine dei ristoranti pluridecorati o sugli scaffali dei supermercati, ironizzando sui falsi democratici che applicano ricarichi esorbitanti e sull’imperante “parkerizzazione” dei nostri calici. Il neologismo, dal nome del famoso critico enologico Robert Parker, si riferisce alle caratteristiche fondamentali che oggi deve avere un vino (molto colore, tannino, zucchero) per stare al passo del mercato e delle pagelle dello Wine Spectator, la bibbia dell’enologia. “Un vino prozac” scrive Nossiter “grasso e zuccherato, facilmente replicabile e in grande quantità, grazie al miglioramento delle tecnologie e al riscaldamento climatico, che permette di raccogliere uva sempre più matura e dolce”. L’omologazione del gusto è un sistema ben rodato. Parte dai produttori, passando dalle consulenze di enologi, sempre gli stessi, come il francese Michel Rolland, e dal marketing, che lavorano a stretto contatto con i giornalisti-esperti: l’americano Parker, lo spagnolo José Peñin. L’obiettivo è trasformare tutti i bevitori in un unico consumatore mondiale dal gusto prevedibile: facile e zuccherato. Il saggio di Nossiter si propone, invece, come un antiguida, è un invito all’insurrezione. “Perché sottomettere i nostri gusti alla legge degli esperti? Affidereste la scelta delle vostre esperienze sessuali a una guida?” chiede con un pizzico di provocazione. “Il vino” aggiunge “è una cosa intima”. Riappropriarsi delle proprie preferenze, e del terroir come simbolo di originalità, significa semplicemente riconquistare la propria libertà. E questo vale dal cinema alla politica, dal vino al letteratura. Il titolo originale del libro, pubblicato l’anno scorso in Francia, era “Gout et Pouvoir”. “Gli uomini di potere temono il gusto” spiega Nossiter, “perché toglie loro l’autorità. Il politicamente corretto non è altro che la soppressione delle nostre preferenze personali”. Nossiter ha cominciato ad amare il vino ancora prima di parlare. Già a due anni, i suoi genitori gliene mettevano sulle labbra poche gocce, come un nettare magico. Figlio di giornalista americano, ha sempre mantenuto un rigore morale e odiato il bluff. È scappato da Hollywood, dopo aver lavorato sul set di Attrazione Fatale, per realizzare ad Atene con Charlotte Rampling un film indipendente sull’impostura (“Signs & Wonders”). Ora, ha appena terminato “Rio Sex Commedy”, girato in Brasile, nel quale Rampling interpreta una chirurga estetica. Anche in questa commedia, che dovrebbe uscire da noi in autunno, viene riproposta la critica dell’omologazione dei gusti e dell’immagine. “Nel cinema è diventata una vera e propria emergenza. E purtroppo non vedo segnali incoraggianti”. Le produzioni indipendenti sono sempre meno, la legge del mercato è ormai sovrana. “Vorrei portare gli studenti di cinema a lavorare con i viticoltori. Per loro sarebbe un modo di imparare a conciliare creazione e umiltà”. Il vino è sempre stato un simbolo del potere. Sin dagli antichi romani era un’espressione della dominazione coloniale: il controllo sulla terra e sugli uomini. “Ma si è spesso trasformato in un’arma di resistenza culturale, è servito a mantenere l’identità locale contro l’invasore”. Anche in Italia. “Quando sono venuto nel vostro paese otto anni fa per girare Mondovino” ricorda Nossiter “ero molto pessimista. Sembrava che le forze più mercantili e conformiste stessero vincendo. Poi sono tornato l’anno scorso e ho scoperto la straordinaria reazione di alcuni viticoltori italiani, ancora più forte che in Francia”. Nossiter racconta del suo incontro con Camillo Donati, che dal 1993 produce sui Colli di Parma Lambrusco, Malvasia, Trebbiano, Sauvignon e Cabernet Franc. Le sue colture seguono i principi della biodinamica. “All’inizio ero un po’ scettico nei confronti di questo fenomeno prevalentemente francese e italiano. Ora invece credo che si possa paragonare il movimento dei vini naturali a una sintesi un po’ pazza tra l’umanesimo, la trasparenza del Neorealismo e la sperimentazione estetica della Nouvelle Vague”. Nonostante abbia avuto premi e successo commerciale, Donati continua a vendere alcuni dei suoi vini a prezzo popolare, quattro euro a bottiglia. “Lo fa per motivi etici” osserva lo scrittore, “suo padre era partigiano: certe cose si trasmettono”. Nel viaggio di Nossiter è citato anche Andrea Sottimano, leggendario produttore di Barbaresco, che invece non cede al movimento dei vini naturali ma è custode di una tradizione genuina. “Sottimano ha dimostrato di essere estremamente scettico nei confronti di ogni tendenza passeggera, per quanto seducente. È proprio la resistenza alle mode praticata in Piemonte, come in Borgogna, che ha contribuito alla grandezza taciturna dei vini di queste regioni”. Questi viticoltori illuminati producono qualcosa di più che una semplice bevanda. “L’affermazione del gusto, e quindi di una libertà personale” conclude Nossiter “è la nostra unica garanzia contro l’incalzante totalitarismo morbido”. Quanta saggezza in un calice. Per brindare al buon vino.

Parole da bere

“Le vie del vino” è il primo libro di Jonathan Nossiter (Einaudi, pp. 242, euro 16).

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